sabato 12 dicembre 2020

Matanza: quattro chiacchiere con Giampaolo Galli

Mi ha fatto molto piacere sentire telefonicamente Giampaolo Galli, autore del romanzo "Along the River – La frontiera spezzata", da cui è stato tratto un cortometraggio con Franco Nero per la regia di Daniele Nicolosi, vincitore agli American Movies Awards 2016 e del quale ho parlato in passato sul mio blog. Mi ha fatto molto piacere anche ricevere in regalo una copia del suo nuovo lavoro Matanza: Storia dell'indicibile massacro di Torreòn. Ora mi pare veramente il caso di parlarne un po’ con l’autore… 

 

Ciao Giampaolo, a bruciapelo: Matanza è un termine spagnolo, perché hai scelto un titolo simile? 

Matanza in spagnolo vuol dire massacro, strage, mattanza per l’appunto. Ho scelto questo titolo perché in una sola parola viene sintetizzato sia il tema che il contesto della vicenda. Inoltre matanza è una parola “forte”, che colpisce e incuriosisce il lettore. 

 

Cosa ti ha colpito in particolare di questo fatto storico, per lo più sconosciuto ai molti, da spingerti a scriverci sopra un romanzo? 

La scoperta dell’eccidio di Torreón fu per me del tutto casuale. Stavo indagando sul periodo storico nel quale avevo deciso di ambientare la storia di Juana, la protagonista femminile del romanzo, quando m’imbattei in questo episodio oscuro e dimenticato. Faticai non poco per recuperare il maggior numero di informazioni, quasi tutte in inglese e spagnolo. In italiano non esisteva quasi nulla al riguardo, e questo fatto sollecitò ulteriormente la mia curiosità, spingendomi ad approfondire le motivazioni che portarono alla strage. In breve riuscii a ricostruire un quadro esauriente della situazione dell’epoca e il risultato fu a dir poco sconcertante. 

Gli esecutori materiali del massacro furono le stesse forze progressiste che avevano imbracciato il fucile per ribellarsi al potere dispotico del presidente Porfirio Diaz, e che in nome dell’uguaglianza sociale e dei diritti negati, non esitarono un solo istante a massacrare una moltitudine di cittadini inermi. Non si trattò di un genocidio vero e proprio, ma di un’esplosione di cieca violenza, gratuita nella sua insensata brutalità, e alimentata da una propaganda becera e fuorviante. La mattanza di Torreón fu qualcosa di molto simile a molte altre stragi come il Sand Creek, le foibe istriane, My Lai, Srebrenica o Sabra e Chatila, solo per citarne alcune. Decisi quindi di farla conoscere al pubblico italiano e di raccontarla in forma di fiction. 

 

Quanto è stato difficile mescolare un fatto storico con gli elementi della finzione? 

E’ stata la prima volta in cui mi sono cimentato con un periodo storico così complesso. Anche nel mio primo romanzo, Along the River – La frontiera spezzata, la fiction si innestava su elementi storici ben precisi, che rappresentavano però un punto di partenza, dal quale poi la vicenda si sviluppava in modo autonomo. In Matanza invece la finzione e la realtà storica procedono di pari passo, soprattutto nella parte centrale del romanzo, quella che riguarda l’eccidio. 

Mescolare i due elementi della narrazione è una sfida affascinante, che ti concede il piacere della scoperta e dell’improvvisazione su un percorso già segnato, un continuo gioco di equilibrio fra ciò che è stato e ciò che è frutto di immaginazione. Credo tuttavia, che un romanzo storico per funzionare davvero, debba essere prima di tutto un’opera di narrativa, e molto dipende dalla scelta dei protagonisti. 

Nel caso di Matanza, i personaggi principali sono una prostituta con il suo sfruttatore e un ufficiale dei rurales, figure di poco rilievo se paragonate a leader politici o militari in grado di condizionare in maniera sostanziale i fatti storici. Nel primo caso diventa più facile dare libero sfogo alla fantasia, i protagonisti non cambiano la storia ma la subiscono. 

Nell’altra situazione invece, in cui i personaggi principali sono realmente esistiti e sono stati parte attiva degli eventi, l’attinenza o meno alla storia reale può diventare un elemento di criticità. In entrambi i casi è necessario un lungo lavoro di documentazione e approfondimento sul periodo che si intende raccontare, a maggior ragione se si tratta di un paese esotico come il Messico

 

Quali sono le tematiche che secondo te caratterizzano questo tuo ultimo lavoro? 

Ce ne sono diverse: dal tema della rivoluzione e della guerra in generale, allo sfruttamento delle classi più umili, dalla discriminazione razziale alla violenza sulle donne. Credo che il romanzo, pur raccontando un episodio avvenuto più di un secolo fa, offra vari spunti di riflessione su temi ancora attuali e irrisolti. In diverse società del sud della terra, la condizione femminile e delle classi più umili sono rimaste ai margini delle grandi rivoluzioni sociali e politiche che hanno investito molti aspetti della nostra vita nel mondo occidentale. 

La Rivoluzione Messicana, che in dieci anni ha causato più di un milione e mezzo di vittime, è stata la prima grande guerra civile del ‘900, un secolo dominato dai conflitti su scala globale e dai regimi totalitari, e capirne oggi le cause, significa anche sollevare un velo sulla nostra storia recente. 

 

Sapendo che sei stato diverse volte in America, immagino che tu conosca i luoghi dove hai ambientato la storia, hai aneddoti e aspetti curiosi su questi luoghi o persone legate a questi luoghi? 

Le esperienze di viaggio nel Chihuahua e nella Sonora a metà degli anni ’90, mi hanno aiutato molto nella stesura del romanzo, soprattutto per la parte descrittiva legata all’ambiente naturale. Il nord del Messico è ancora oggi una terra di frontiera, nella quale il deserto, le alte sierras e le cittadine polverose e sonnolente ai margini del grande nulla, colpiscono la fantasia di ogni viaggiatore che ama avventurarsi lungo piste poco battute. Al di fuori dei grandi centri urbani lo spazio e il tempo si dilatano e ci restituiscono la sensazione di un paese aspro e selvaggio, immutato nella sua primordiale immensità. Anche le popolazioni indigene, che vivono in queste solitudini, sembrano riportarci indietro nel tempo. 

Nel ’95 intrapresi con alcuni amici un lungo viaggio sulla Sierra Madre, con l’intenzione di attraversare l’intera cordigliera, da Chihuahua a Los Mochis sul Pacifico. Sul treno facemmo conoscenza con alcuni giovani missionari evangelici, che portavano assistenza e beni di prima necessità alle isolate comunità di indios tarahumara sulle montagne. Non mi feci scappare l’occasione, e dopo un’escursione a cavallo lungo il ciglio della maestosa Barranca del Cobre, ci unimmo a loro. 

A bordo dei fuoristrada ci inerpicammo su montagne selvagge dove non incontrammo segni di attività umana fino alla missione di Choguita, uno sperduto villaggio indigeno di un centinaio di anime. Quando entrammo nelle abitazioni tarahumara, semplici baracche di adobe con il pavimento in terra battuta, le lancette dell’orologio girarono all’indietro di oltre un secolo. Le donne, vestite in abiti tradizionali, comunicavano a stento in spagnolo, mentre gli uomini portavano ancora i capelli lunghi e fissati al capo da bandane rosse, come gli apache di Geronimo, i loro eterni nemici. L’incontro con questi indios, scaturiti dalle nebbie del tempo, fu uno degli episodi che valsero l’intero viaggio: i volti fieri, i loro silenzi e i gesti antichi, rimasero scolpiti per sempre nella mia memoria. Le sensazioni di quelle esperienze, così particolari e lontane dal nostro vivere quotidiano, traspaiono in più punti nell’ultima parte del libro. 

Del resto ogni romanzo, oltre a raccontare una storia, racconta molto di chi l’ha scritto. 

 

Quanto tempo ti ha preso la scrittura di questo romanzo e quanto sei soddisfatto del risultato? 

Il romanzo ha avuto una gestazione piuttosto lunga, quasi due anni e mezzo, dovuta anche ad alcune pause di diversi mesi. Dopo una prima bozza, sono passato a una seconda stesura e infine a una terza. Una volta soddisfatto del risultato, mi sono affidato a un editing esterno per la revisione finale. 

Personalmente credo di aver fatto un buon lavoro, e la prima conferma mi è arrivata da Giada Trebeschi, già affermata autrice Mondadori e curatrice della Oakmond Publishing, con cui è uscito il libro. Ora aspettiamo il responso dei lettori, ai quali rivolgo fin da ora l’invito a recensire il romanzo su Amazon. Reputo le recensioni molto più importanti delle vendite. Uno o due euro di royalty per copia non sposteranno di un millimetro la mia situazione economica, ma due righe di recensione mi aiuteranno nella valutazione e orienteranno nella scelta i futuri lettori. 

 

Ci farai un film anche stavolta? 

Si può mettere la mia faccia che sorride? …Magari!!! Una sceneggiatura si può sempre fare, ma il solo proporre un film tratto da questo romanzo significa sbancare una casa di produzione: i costi sarebbero altissimi e perfino Hollywood si sta rimboccando le maniche, puntando su opere a basso-medio budget. Credo che Matanza rimarrà sulla carta stampata e in ebook, e va già bene così. Per quanto riguarda il cinema la mia collaborazione con Daniele Nicolosi continua su altri progetti, sia corto che lungometraggi, ma saranno storie di casa nostra. 

Ti terrò al corrente e magari ne parleremo molto presto. 

 

Matanza: Storia dell'indicibile massacro di Torreón (Amazon) 

 

"Grazie per la lettura" 

 

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