domenica 22 novembre 2020

Le caldarroste di Pesaro

Un po’ di tempo fa, in un periodo come questo, forse sabato o forse domenica, giurai, come militare, fedeltà e rispetto alle istituzioni italiane. Fa parte di un tempo del tutto inutile della mia vita e se tornassi indietro obietterei al Servizio di Leva. Ma ormai è fatta. Ricordo il comandante della compagnia, un capitano esaltato che sembrava uscito da un fumetto di Eroica, e le caldarroste che mi portarono i miei genitori da casa. Ero a Pesaro. 

 

Nella caserma dove feci il CAR, quasi tutti i miei commilitoni erano toscani, romagnoli, emiliani e marchigiani, molti di questi potevano andare a casa durante le ore di libera uscita, il che la dice lunga su come fossero studiate le destinazioni durante il servizio d leva. 

Io purtroppo ero a cinquecento chilometri da casa e in libera uscita potevo al massimo andare in spiaggia a guardare il mare in autunno. 

Era come essere in galera. 

Ho rimosso quasi tutto di quel periodo e ci sono ben poche situazioni ancora presenti e vivide nella mia mente. 

Ricordo di aver lasciato il segno del mio passaggio, un po’ come Kilroy, nelle latrine (non si possono chiamare bagni) e ricordo che non mangiavo quasi niente, visto che provavo schifo a vedermi le pietanze servite in un vassoio di alluminio pulito solo in apparenza, a parte un panino con il salame che riuscivo a comprare al mattino, subito dopo l'adunata, presso una bancarella che, non so come, si intrufolava nel recinto della caserma. 

Venivo dall’esperienza degli anni in collegio e forse avrei dovuto essere abituato a un certo genere di vita. Ma quello della caserma non si sposava per niente alla mia indole. 

Troppe cose inutili e stupide. 

Non accettavo l’idea di perdere un anno per imparare a sparare con un fucile, a tirare la levetta di una bomba a mano che faceva fumo e soprattutto a perdere ore e ore a marciare e marciare come un idiota attorno alle baracche della caserma. 

Non mi piaceva niente e non mi piacevano neppure troppo i miei compagni di camerata. 

Feci amicizia soltanto con un ragazzo di Brescia (che avrei rivisto l’ultimo mese di naja a Treviso) ma per il resto non mi lasciai andare troppo a fare confidenze. 

Ricordo soltanto con piacere quel pomeriggio in cui vidi i miei genitori, la mia mamma e il mio papà, si erano sorbiti un viaggio notturno in treno per venirmi a trovare, ma non avemmo neppure il tempo di pranzare insieme. 

Facemmo un giro nella città di Pesaro e prima di tornare in stazione a prendere il treno per il ritorno mi lasciarono una borsa di plastica con dentro un sacchetto di caldarroste che avevano preparato il giorno prima di partire. Erano pulite e sbucciate e pronte da mangiare. 

Quella sera in caserma, mentre le pizzicavo una a una dal sacchetto con l’amico bresciano mi veniva quasi da piangere. 

 

“Grazie per la lettura” 

 

(Imm.) acquerello Nino di Mei: Cesto di castagne 

 

6 commenti:

  1. Anche questo acquerello si può considerare una natura morta... Efficace pure il post

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  2. Ho visto e letto adesso tutti i commenti sul tuo profilo Linkedin, un peccato che la gente non commenti anche sul blog

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    1. Un aspetto secondario, l'importante che il post susciti interesse, poi i commenti possono arrivare da qualsiasi parte

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  3. Ci metti davvero l'anima quando scrivi e conoscendo il tuo blog ricordo che ne hai scritto altre volte di questo periodo ,ma sempre con un senso di inutilità per quello che invece magari potesse essere tempo speso in altro modo.Magari per questo fanno un certo effetto anche i tuoi racconti :)

    Conosco molto bene quella sensazione finale .

    Buona serata


    L.

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    1. Su Linkedin ha letteralmente sbancato questo post, e mi sono trovato tra i commenti anche la voce di alti ufficiali dell'esercito. Non pensavo che scatenasse questo interesse.
      Grazie

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