----- Trentottesimo Capitolo -----
Poco prima di mezzogiorno riuscimmo a prendere contatto con il proprietario della baita. Quando seppe del serpente mi diede carta bianca. Non aveva nulla di prezioso all’interno. Disse che le chiavi per entrare erano infilate in un gancio posto sulla sinistra, in alto, dietro una botola della porta d’entrata. Bisognava infilare la mano per trovarla.
Con una falce uno degli uomini tagliò le ortiche che sorgevano intorno all’entrata, l’altro andò a recuperarmi un paio di guanti da moto presso gente del maggengo. Quando tornò ne infilai uno con la mano destra. La chiave, studiando la serratura, doveva essere grande e pesante. Non mi avrebbe creato problemi la poca sensibilità della mano.
«Io non lo farei» disse l’uomo che aveva trovato i guanti.
«Bisogna farlo!»
«Stai attento!»
«Il serpente marrone ha i denti veleniferi piuttosto piccoli. Con questi guanti non riuscirebbe a toccare la pelle anche se dovesse mordermi. Sono soltanto preoccupato dal fatto che potrebbe uscire all’improvviso.»
L’uomo fece qualche passo indietro.
Mi chinai, appoggiai la mano sinistra contro il muro esterno e spostai la botola con la destra. Infilai la mano all’interno, poi la orientai verso l’alto e capii di aver trovato la chiave. La palpai in modo da poterla afferrare con sicurezza. La presi tra il pollice e l’indice, quasi a metà, spostai la mano all’indietro e feci uscire l’anello dal gancio. Feci attenzione che la chiave non mi cadesse a terra. La sentivo tra le dita e ritirai la mano dalla botola. Poi mi alzai.
Non era successo nulla. Tolsi il guanto e lo posai in terra vicino all’altro e infilai la chiave nella toppa. Dissi agli uomini di stare indietro. Girai la chiave una volta e provai a muovere il cardine. Non si mosse. Occorreva un altro giro. Riprovai. Alla fine il cardine uscì e liberai la serratura. Diedi una spallata alla porta e questa si spalancò per metà.
L’interno era nella penombra. Un po’ di luce entrava dalla finestra e da alcune fessure presenti sul tetto. C’era un unico locale. Riuscii a scorgere un tavolo e un focolare, ma non varcai la soglia. Aspettai che la mia vista si abituasse a qual tipo di chiaroscuro prima di avanzare. Poco alla volta riuscii a distinguere altre cose all’interno. Non scorsi movimenti strani. Spinsi la porta e la aprii del tutto.
Entrai, guardando in terra. Il pavimento era fatto in lastre di pietra ed era ricoperto da erbacce e sassolini. C’erano delle assi di legno contro una parete, mentre quella con il focolare era nera di fuliggine. Non vidi oggetti particolari, non c’erano sedie e non c’erano sgabelli. Non vidi stoviglie e pentole. Guardai in alto. Non vidi niente che potesse servire da rifugio a un serpente. Dedussi che non ci entrasse gente da molto tempo.
«Trovato qualcosa?» urlò uno degli uomini all’esterno.
«No.»
Non c’erano altri angoli da controllare. Non vidi possibili rifugi. Tornai indietro sulla soglia. «Niente. Non c’è.»
«Che sia uscito?»
«Non ci sono posti per nascondersi.»
«Mi sarebbe piaciuto vederlo.»
Era in canottiera. Osservai il tatuaggio di Toro Seduto.
«Non hai paura?» gli chiesi.
«Non mi hanno mai terrorizzato i serpenti, ma non è che li ami troppo.»
«Vuoi dire che li uccidi?»
«Se mi capitano davanti, non mi faccio intenerire. Questo lo devi uccidere?»
«No, voglio catturarlo vivo come l’altro. Voglio capire come è riuscito a cavarsela sino ad adesso. Ormai so che gira da queste parti: ha le ore contate.»
L’uomo calvo sorrise. Doveva avere più di sessant’anni. «Spero si chiuda la faccenda una volta per tutte.»
Entrai di nuovo e controllai un'altra volta. Vidi una lucertola affacciarsi sulla finestra all’altro lato della stanza. Gli mancava metà della coda. Non so cosa cercasse. Non c’erano insetti e neppure un po’ di luce solare. La osservai scendere verso il pavimento. Prima di giungere sul fondo, si girò e tornò indietro.
Il signore calvo mi ospitò a pranzo. Non volevo accettare. E lui insistette: era troppo tardi per tornare sino in paese. Mangiai polenta e salsicce in una baita distante dieci minuti a piedi.
Ci trovai tutta la sua famiglia. La padrona di casa, la moglie, fu molto cortese. La sua cucina era appetitosa. La polenta fu servita su un tavolo in una piazzola all’aperto. Mi piacque molto respirare l’odore della farina di mais e degli insaccati cotti sulla brace di un focolare fatto in pietra. La polenta era gialla e morbida e le salsicce erano arrostite nel loro grasso.
Durante il pranzo parlammo del Veneto, di Treviso, del mare Adriatico. Ancora una settimana e sarebbero andati a Cesenatico. Parlammo della bellezza dei luoghi di montagna, di come fossero affascinanti le montagne e le valli della zona. Certo era un peccato venirci per dare la caccia a dei serpenti. Ed era un peccato che la stagione avesse presentato tutte quella difficoltà.
La signora disse che molte persone avevano paura adesso nel passare da quelle parti. Lei non aveva trascorso un giorno da sola tanto per dirla lunga. Da bambina ci trascorreva tutta l’estate. Ricordava che tornava in paese in paio di volte al mese e vivevano in quella baita senza le comodità di adesso e senza tanti timori e paure.
Ora avevano il televisore, la corrente elettrica, il telefono cellulare. Presto avrebbero realizzato una strada per le auto. Magari in un futuro qualcuno avrebbe aperto un ristoro o un albergo. Le cose cambiavano e non sempre in meglio. Dissi che la presenza di serpenti esotici aveva un significato simbolico a questo punto. Lei annuì, poteva essere. Forse anche loro facevano parte del progresso.
I tre bambini ascoltarono ciò che dicemmo mentre mangiavano lentamente il loro piatto di polenta. Non mi tolsero gli occhi di dosso. Dovevano vedermi come un avventuriero. Uno sembrava particolarmente colpito dal mio aspetto. Non aveva mai sentito il termine erpetologo.
Gli spiegai cosa significasse. Mi chiese se fossi ricco. Ero ricco perché facevo ciò che desideravo, gli dissi. Sembrò colpito. Non avevo paura? Avevo paura quando facevo cose stupide.
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"Grazie per la lettura"
Il male tra gli ontani in vetrina (tutti i capitoli pubblicati)
ha ragione manuel bisogna avere paura quando si fanno cose stupide, ed aggiungo solo gli stupidi non hanno mai paura! Sempre bello Ferrucio ti auguro una buona giornata
RispondiEliminaGrazie Anna
EliminaStamattina non ero riuscito a leggerlo, me lo sono goduto adesso
RispondiEliminaErnesto
Grazie Ernesto
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