----- Ventinovesimo Capitolo -----
Non so chi fu il primo a raccontare in giro che un atleta era stato morso da un serpente. Quando giunsi in piazza per guardare l’arrivo dei primi runner la notizia si era già diffusa nel parterre. La voce dello speaker raccontava della corsa, ma tra la folla c’era malumore e l’interesse sembrava rivolto ad altro. Loredana avvisò Dario al telefono, mentre il maresciallo, mi prese da parte, mi trascinò sotto il maxischermo all’ombra e mi aggiornò sulla situazione.
L’incidente era avvenuto con il passaggio degli ultimi atleti, nell’area del parco: quasi nel luogo dove si era verificato il primo incidente. Si era parlato di un collasso dovuto allo sforzo, ma quando l’uomo si era ripreso aveva accennato all’attacco di un rettile. La faccenda non mi piacque per niente.
«In che condizioni si trova?» chiesi.
«Non si sa al momento: lo hanno portato al pronto soccorso in elicottero.»
«Accidenti, bisogna andare subito là!»
«Non posso venire con te» disse il maresciallo. «E non ho uomini da inviare, sino al termine della corsa.»
«Bisogna chiudere la faccenda una volta per tutte. Devo trovare questo rettile.»
Chiamai al telefono Dario, poi andai in albergo a cambiarmi. Prima di arrivarci passai dalla ragazza di Lecco e le spiegai il motivo per cui sarei sparito quel giorno. Poi dalla camera d’albergo chiamai Luca a Treviso. Gli chiesi se aveva ricevuto un certo materiale dall’Australia. Ero deciso e determinato nel risolvere la faccenda lo stesso e non mi preoccupai troppo della risposta negativa: volevo soltanto capire fino a che punto fossi preso seriamente. Scesi da basso e dalla signora mi feci preparare dei panini per il pranzo al sacco. Alla fine andai da Dario.
Era risalito dal casolare sino a casa. Qualcuno gli aveva indicato il luogo preciso dove era accaduto l’ultimo imprevisto. Mentre mi aspettava, aveva preparato il necessario. In uno zaino aveva messo dei guanti, le mie pinze da erpetologo e il sacco per i rettili. Adesso sarebbe stato un problema uscire dal paese con l’auto e ci recammo sul posto a piedi. Scendemmo il sentiero sino alla zona industriale, poi imboccammo la pista che portava al maggengo.
Per larga parte era lo stesso tragitto della corsa e ormai conoscevo quel tratto di strada. Negli ultimi mesi l’avevo percorsa diverse volte e ricordavo quanto fosse faticosa da salire con dei pesi sulle spalle.
Faceva caldo e incontrammo diverse persone sul tragitto. Molte di queste tornavano in paese, dopo aver visto il passaggio degli atleti. Non credo fossero informati dell’incidente. Molte persone erano lì soltanto per la corsa. Potevo sentire che parlavano di record e atleti fuori dal comune.
Trovammo Paolo sulla radura davanti alle baite del maggengo: era stato lui ad avvisare Dario. Con lui c’erano un altro paio di ragazzi.
«Avete visto anche il serpente?» gli chiese Dario.
«Io no» disse Paolo, «ma lui sì!»
Indicò un giovanotto alto e dinoccolato.
Il ragazzo alzò la mano. Si presentò. Era stato lui a dare l’allarme e a chiamare il soccorso. Aveva trovato il runner in trance sul sentiero. L’uomo, prima di collassare e di svenire tra le sue braccia, gli aveva detto di essere stato morso. Ciò era bastato per far sì che controllasse il sentiero vicino. Aveva notato il rettile a pochi metri da lui. Disse di averlo visto nascondersi nella boscaglia una decina di metri più in basso dal punto in cui eravamo adesso.
«Ho chiamato i miei amici e abbiamo portato il signore qui sulla radura. L’elicottero è arrivato mezz’ora fa. Sarà ancora da queste parti il serpente?» chiese alla fine.
«Temo di sì!»
Non solo lo temevo, ero sicuro che il serpente fosse ancora da quelle parti. Magari ci stava spiando.
Dove sei?
C’era molta gente in giro quella domenica e per lui non doveva essere una giornata tranquilla. Un rettile irrequieto era un pericolo per chiunque. Dovevo catturarlo. Afferrai un bastone, lascia lo zaino a Dario e scesi il sentiero con il ragazzo. Indicò il punto esatto dove aveva visto sparire il serpente. Gli dissi di descriverlo, ma sapevo che si trattava dell’animale che stavo cercando.
Dove sei?
C’era una fitta macchia di ontani e il terreno subito fuori dalla mulattiera era umido. Non pioveva da giorni e pensai che da qualche parte ci fosse un rigagnolo con dell’acqua sorgiva. Mi inoltrai tra gli ontani aiutandomi con le mani e il bastone. Dissi al ragazzo di non seguirmi. Udii la voce di Dario dall’alto della radura ma non capii cosa disse. Camminavo chino e osservavo il terreno con prudenza ma non potei proseguire a lungo. A un certo punto mi trovai sopra uno strapiombo con la stretta gola della valle in basso.
Il paese sembrava subito lì, a cento metri in linea d’aria. Laggiù nella gola c’era la carrareccia polverosa e il torrente quasi in secca. Sentivo lo speaker e l’eco delle voci provenire dal paese. Mi chinai un poco e cercai di vedere se poteva esserci un passaggio tra le rocce, ma il luogo era davvero impervio. Dovetti tornare indietro.
Il ragazzo era ancora sul ciglio della mulattiera. Non si era mosso. Gli altri erano più in alto. Non si erano mossi. Tornammo da loro e sedemmo un poco sulla radura.
«Sparito?» chiese Dario.
«Non credo sia molto lontano. Sono finito sopra le rocce.»
«Sì, è facile perdere la pista, non ci passa mai nessuno da quelle parti. Il sentiero sale più in alto.»
«Deve essere lì.»
Era quasi la una adesso. Salutammo i ragazzi e salimmo alla baita del maggengo. Paolo venne con noi. Ci fermammo fuori sulle scale. Avevo fame e aprii lo zaino. La signora aveva preparato dei panini con del prosciutto e del formaggio. Ne diedi uno a Dario e ne presi uno per me. Ne offrii uno a Paolo ma non lo volle: lo aspettavano a pranzo in paese e approfittò della situazione per dileguarsi. Nello zaino c’erano anche delle lattine: erano calde e preferii non aprirle. Dario provo a informarsi sulla situazione dell’uomo attaccato, ma non riuscì ad avere notizie precise.
Adesso pensai che con un serpente marrone eravamo stati molto fortunati. Si era messo in trappola da solo nascondendosi in una mangiatoia. Non era una cosa da fare. Lo avevo catturato in maniera rischiosa ma ora era prigioniero in una teca in paese e presto sarebbe stato spostato in un vero rettilario. Magari sarebbe stato rimandato in Australia.
Con questo invece era più difficile. Pensavo quasi ci prendesse in giro. Era più furbo di quello che pensavo. Forse lo avevo visto il primo giorno che ero giunto sul maggengo, ma in seguito mi era sempre sfuggito. Ci stava creando un sacco di guai e forse avrebbe continuato a crearne. Oggi doveva essere una giornata di festa e non una domenica di tragedia.
Circa un’ora dopo prendemmo l’attrezzatura e scendemmo di nuovo sul sentiero dove nella mattinata c’era stato l’attacco. Tra il terreno umido in cui crescevano gli ontani c’erano ancora le orme delle mie scarpe tra le tracce lasciate in precedenza.
Dario si mise davanti. Avanzò per una decina di metri, poi deviò verso l’alto. Capii che era un modo per evitare di finire sullo strapiombo e lo seguii. Ci trovammo impigliati tra i rovi e il fogliame fitto degli alberi e per un po’ fu faticoso procedere. Finché ricomparve una pista battuta e poco dopo anche gli alberi si diradarono. Guadammo il torrente e subito dopo la zona si fece pianeggiante. Avanzammo con prudenza per un centinaio di metri. Il posto era selvaggio. Era pieno di tafani e i rumori parevano attutiti dal bosco. Qualcosa si mosse sul terreno e fu allora che lo vidi.
Mi fermai e trattenni Dario con un braccio. «Guardalo!» dissi.
«Dove?»
Lo indicai con la mano.
«Straordinario!»
«Già!»
«E adesso?»
«Adesso, dobbiamo prenderlo.»
Il sole si infiltrava tra le foglie. I prati erano sopra il filare di alberi e riuscivo a capire dove mi trovavo. Non ero mai sceso così in basso durante le mie perlustrazioni della zona. Mi ero sempre mantenuto sul pianoro del maggengo. Era il posto perfetto per un rettile e mi domandai perché non ci fossi venuto prima.
Dario mi guardò. «Come lo prendiamo?» chiese sottovoce.
«Non ne ho idea!»
Studiai un poco il serpente. Era avvolto su sé stesso e non riuscivo a misurarlo e neppure riuscivo a valutarne il dimorfismo dalla distanza in cui mi trovavo. Speravo fosse un maschio, come l’altro. Dovevo avvicinarmi, ma non volevo farlo scappare.
«Siamo troppo lontani» dissi.
Osservai come era vestito Dario. Indossava i pantaloni del Corpo e una maglietta a maniche corte. Ai piedi aveva gli scarponi. Forse potevamo circondare il serpente e prenderlo in trappola. Di sicuro avrebbe reagito. Non sarebbe stato semplice avvicinarsi, ma era l’occasione che aspettavo da tempo. Se fosse scappato non sarebbe stato semplice inseguirlo. Era molto più veloce di noi su quel terreno.
«Quando mi hai scritto la scorsa primavera, avresti mai pensato a fatti del genere?»
«Certo non avrei mai pensato di trovarmi alla fine di luglio a spiare un elapide australiano! Immaginavo ci fosse qualcosa di strano ma non fino a questo punto.»
«Hai avuto intuito.»
«Finirà così?»
«Erano due. Uno lo abbiamo catturato e uno lo abbiamo davanti agli occhi!»
«Si sta muovendo» disse Dario.
Il rettile si spostò lentamente. Strisciò attorno a un albero, poi scese sul sentiero.
«Non dobbiamo perderlo» dissi.
Strisciò piano sul sentiero nella direzione opposta alla nostra. Lo avevamo a una decina di metri.
«Non dobbiamo assolutamente perderlo» dissi. «Dove porta questo sentiero?»
«C’è uno stagno poco più avanti.»
«Ci sono rane?»
«In certi periodi sì!»
«Bene. Abbiamo trovato il suo hotel!»
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"Grazie per la lettura"
Il male tra gli ontani in vetrina (tutti i capitoli pubblicati)
Ciao Ferruccio, mi sa che non è finita.. Bello, tiene sempre acceso l'interesse, non "cala" mai! Complimenti, e buona giornata!
RispondiEliminaGrazie Anna
EliminaSempre più avvincente. Mi piace, complimenti Ferruccio. Abbraccio
RispondiEliminaGrazie Farfalla Legger@
EliminaNon mi sono perso in capitolo e non vedo l'ora di averlo tutto intero, su carta, tra le mani
RispondiEliminaGrazie Ernesto
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