venerdì 11 ottobre 2019

Il trentunesimo capitolo de' Il male tra gli ontani

Venerdì 11 ottobre 2019, siamo al Trentunesimo capitolo de' Il male tra gli ontani. Anche questa volta, in fondo al seguente post trovate il link per accedere alla vetrina con tutti i capitoli pubblicati sino a oggi. Vi ricordo che questa storia è frutto della mia fantasia. Ogni riferimento a cose e a persone sono del tutto casuali. Il prossimo capitolo, il trentunesimo sarà on line martedì 15 ottobre. 


----- Trentunesimo Capitolo ----- 

Albeggiava quando il fuoco fu spento. L’odore di bruciato giunse sino alla radura. Un po’ di fumo continuava a salire dietro il promontorio. Non smettemmo mai di osservare nelle tenebre. Il chiarore intermittente dei lampeggianti azionati dai mezzi di soccorso non cessò un istante e un elicottero sorvolò la zona, nella notte, varie volte. Non riuscimmo a contattare nessuno con il telefono e neppure quando più tardi ci spostammo sul sentiero che portava al maggengo il segnale risultò attivo. 

Adesso non capivo cosa fosse bruciato. Neppure Paolo riuscì a intuirlo. La zona interessata era nella parte bassa del paese ma il nostro punto di osservazione aveva la visuale coperta dagli alberi e da un costone roccioso. Per conoscere l’entità e il luogo preciso del disastro dovevamo tornare al maggengo e non avevo nessuna voglia di farlo. 

Non volevo assolutamente farlo. 

Avevo trascorso la notte all’aperto e non intendevo privarmi della possibilità di cogliere sul fatto il serpente marrone appena si fosse rimesso in attività. Sapevo che lo avrebbe fatto di primo mattino. Prima che fosse troppo caldo si sarebbe mosso. 

Avevo sonno e avrei bevuto volentieri del caffè e avrei desiderato sdraiarmi sul materasso di un vero letto e provare a dormire un poco e avere la certezza che qualcuno ti avrebbe sentito e ti avrebbe lo stesso aiutato. Insomma confidavo nel ritorno di Dario. Alla fine suggerii a Paolo di spostarsi in un luogo rintracciabile da un segnale. 

«Dario mi ha detto di non lasciarti solo. Mai!» 

«Ubbidisci!» 

«Mi uccide se ti mollo!» 

«Ci metti dieci minuti. Conosci la zona e sai dove andare. Magari qualcuno ci ha cercato.» 

Gli diedi anche il mio cellulare e lo pregai di andare. E lui non fece il guastafeste. Lo osservai salire tra gli alberi in direzione del sentiero più in alto. Quando scomparve alla mia vista, misi in ordine il campo. Arrotolai i due sacchi a pelo e li appoggiai al tronco di un albero. Controllai che sul terreno non ci fosse qualche cartaccia e altri segni della nostra notte all’addiaccio. Poi andai sulla riva del lago e mi lavai la faccia. Non c’era ancora il sole ma sentivo che sarebbe stata una giornata calda. 

Mi senti chiamare subito dopo. Scorsi Paolo ritornare di corsa. Con lui c’era un signore che avevo visto in paese con Dario. 

«È successo un casino» disse. «Hanno appiccato il fuoco al casolare di Dario: è bruciato tutto.» 

«Scherzi?» 

«Una roba assurda» disse l’altro signore. 

«Non mi state prendendo in giro!» 

«Davvero!» 

«Dario dov’è?» 

«Tutto bruciato. È stato un disastro e Dario è in ospedale.» 

«In ospedale?» 

«Già!» 

«Cosa è successo… come sta?» 

«Non lo so. Mi ha chiesto Loredana di avvisarvi il prima possibile. Non riusciva a chiamarvi.» 

«Lei dov’è?» 

«Credo sia andata in ospedale.» 

Dario era stato ricoverato presso l’ospedale di Gravedona. Pensai di andare subito a trovarlo. Prima, però, in paese, parlai con il maresciallo. Mi spiegò cosa era successo. 

Dario era stato colpito alla testa con un mattone. Era stato preso alle spalle, a tradimento, ma era stato trascinato fuori dal casolare prima che fosse appiccato il fuoco. Lo avevano trovato incosciente sulla strada mentre l’incendio divampava. Era evidente che non volevano colpire lui ma soltanto ciò che c’era nel casolare. All’interno c’era una bombola del gas ed era esplosa. Non si era salvato niente, ma il fuoco era stato spento prima che potesse espandersi alle case vicine. Era una fortuna che il casolare fosse situato in una posizione isolata. 

Adesso non si poteva entrare tra le macerie. I pompieri avevano transennato la zona e alcuni carabinieri stavano scattando fotografie e raccogliendo indizi. 

«Si sa chi può essere stato?» domandai al maresciallo. 

«Credo sia la stessa gente che ha lasciato le minacce poche notti fa.» 

«E si sa chi sono?» 

«Forse!» 

«E non potete fare niente.» 

«Senza prove non sarà facile fare qualcosa. Vedremo cosa saprà dire Dario.» 

Evitai di chiedere del serpente. Non credo fosse riuscito a salvarsi dopotutto. Un pompiere mi permise di affacciarmi sull’uscio del casolare e osservando l’interno giunsi alla stessa conclusione che mi ero fatto in precedenza. Era tutto bruciato. Il tetto era crollato e non vidi altro che un ammasso di travi e di pietre nere di fuliggine. C’era ancora dell’acqua su quello che una volta era stato il pavimento. Della teca non esisteva più nulla. 

Non mi fermai a lungo. Poco dopo andai nel parcheggio a prendere l’auto e andai sino all’ospedale. Non conoscevo la strada e non usavo l’auto dal mio ritorno da Treviso. 

Non fu per nulla facile guidare dopo una notte in bianco, visto che fu la prima volta che percorsi il tratto tra Taceno e Bellano. La strada era stretta e impervia. Imboccai lo svincolo della superstrada a Bonzeno e all’uscita di Colico seguii l’indicazione per Como. Superai i ponti sull’Adda e sul Mera, poi mi immisi sulla statale Regina. Ci volle più di un’ora di tempo e mi parve un’eternità. 

Al pronto soccorso mi dissero che Dario era ricoverato nel reparto di Neurochirurgia. Salii le scale interne dell’ospedale. Loredana era nel corridoio del reparto, davanti alla saletta dove c’erano delle macchinette per le bevande. Mi venne incontro e mi abbracciò. 

«Come sta?» le chiesi. 

«Non lo so! I medici non mi hanno ancora detto nulla di preciso: mi hanno detto che non è in pericolo di vita, ma è in sala operatoria per un ematoma.» 

«Non sei riuscita a vederlo?» 

«Lo hanno portato in elicottero. Non l’ho ancora visto!» 

Non sapevo cosa fare. «Sei qui sola?»

«Mi ha accompagnato mia sorella: è scesa da basso a telefonare. Non dovevi venire!» 

«Figurati.» 

Le strinsi una mano e l’abbracciai un’altra volta. 

«Non capisco da dove arriva questo odio!» disse. «Potevano ucciderlo!» 

«Non ci pensare. Vedrai che andrà tutto per il meglio e troveremo i responsabili.» 

Sua sorella ritornò poco dopo. Non l’avevo mai vista. Loredana me la presentò. La donna mi guardò come erano solite guardarmi la maggior parte delle donne la prima volta che mi vedevano. Poi disse qualcosa in dialetto a Loredana. Era difficile capirle e mi allontanai per non metterle in imbarazzo. 

Alla una del pomeriggio arrivò un’infermiera. L’operazione si era conclusa. Disse che il primario voleva parlare con la signora. Loredana arrossì, abbracciò sua sorella e la prese per mano. Le osservai seguire l’infermiera. Entrarono in una stanza in fondo al corridoio. 

Restai solo. Ancora una volta mi trovavo in un ospedale. Era la terza volta che ci andavo in un paio di mesi. Non mi piaceva girare per ospedali. Dario non era in pericolo di vita ma mi domandavo perché non lo portassero in una camera. Mi pareva strano tutto questo riserbo. Presi una bottiglietta d’acqua al distributore e mi avvicinai alla finestra. 

Bevvi e guardai fuori. Potevo vedere il parcheggio dove avevo l’auto. Sul fondo c’era un filare di alberi e dietro gli alberi doveva esserci il lago. Il parco non doveva essere molto distante in linea d’aria. Doveva trovarsi tra le montagne subito al di là del lago. Ma per arrivare in ospedale bisogna fare un giro piuttosto lungo. Speravo che Dario non dovesse trascorrere molto tempo in quella città. Avevo bisogno del suo aiuto e questo incidente non ci voleva. 

Finalmente Loredana tornò. L’operazione era andata bene. Dario doveva soltanto riprendersi dall’anestesia. L’incidente gli aveva provocato un forte trauma cranico ma pareva non ci fossero danni cerebrali. Aveva ripreso conoscenza prima di essere operato e questo era stato un bel segno. 

«Meno male.» 

«Non immagini come mi sentissi» disse Loredana. 

«Ti capisco. Ti hanno detto quanto si dovrà fermare?» 

«Una decina di giorni, forse soltanto una settimana. Ha la testa dura!» 

«Non possiamo vederlo?» 

«Tra poco dovrebbero portarlo in camera. Vai a mangiare qualcosa: torni dopo.» 

«Devo portarvi qualcosa?» 

«Non è necessario!» 

Lasciai Loredana e sua sorella in ospedale e andai sul lungolago della cittadina a piedi. Avevo fame ma non avevo voglia di cercare un ristorante. Trovai un bar che faceva panini e sedetti a un tavolo che guardava sulla strada e sul molo. Ordinai una birra piccola e un panino con mozzarella e pomodori. Feci un paio di telefonate ma non riuscii a parlare con chi volevo e ne fui un po’ deluso. Era lunedì e il bar era deserto e dopo che ebbi mangiato non mi importò più nulla di osservare il lago. 

Quando tornai in ospedale trovai Dario nel letto. Era in una camera a due posti ma l’altro letto era vuoto. Aveva una fasciatura attorno alla testa e gli occhi gonfi e con lividi blu. Era sveglio. Mi vide entrare nella stanza e sorrise ma non disse nulla. Aveva una flebo al braccio. 

«Mi hai fatto prendere un bello spavento» dissi. 

Dario disse qualcosa ma capii che non aveva molta voglia di parlare. Una volta finito gli effetti dell’anestesia probabilmente avrebbe sentito un bel po’ di dolori. Forse desiderava dormire per sentirli il più tardi possibile. 

Andai sulla soglia con Loredana. 

«Ha raccontato cosa è successo?» 

«Non ricorda nulla» lei rispose. 

«Gli tornerà nei prossimi giorni… Sei stanca?» 

«Un po’!» 

«Dovresti riposare anche tu.» 

«È stata una nottataccia.» 

«Lo immagino. Riposati un poco. Ci sono io se serve… Tua sorella?» 

«È uscita a comprare delle cose.» 

«Non hai mangiato ancora?» 

«Non ho fame. Tu che hai mangiato?» 

Glielo dissi. 

Loredana indicò Dario con lo sguardo. Dormiva adesso. «Ieri sera mi ha detto che avete trovato l’altro serpente.» 

«Forse abbiamo scoperto dove va a nascondersi.» 

«Bene, no?» 

Indicai Dario. «Non posso fare nulla senza di lui.» 

«Ci vorrà del tempo prima che si riprenda.» 

«Lo so!» 

Fu una giornata piuttosto pesante. Nel pomeriggio giunsero dapprima i carabinieri e poi un superiore di Dario con alcuni suoi colleghi. C’erano delle complicazioni di carattere burocratico da sistemare. Discutemmo un poco di denunce e di piani assicurativi, ma Dario non fu in grado di aiutarci. 

Prima di sera ripassò di nuovo il primario con il suo staff. Dovemmo lasciare la camera. Poi gli fecero un’iniezione e gli provarono la temperatura corporea e più tardi un’infermiera arrivò con il carrello della cena. Fu allora che sua sorella disse che sarebbe tornata a casa. 

«Ti conviene andare anche tu!» suggerì Loredana. 

«E tu?» le chiesi. 

«Mi hanno detto che posso trascorrere la notte qui!» 

«Be’ esci almeno a mangiare qualcosa prima che io vada, non hai mangiato nulla!» 

«È vero non hai mangiato nulla in tutto il giorno» aggiunse sua sorella. 

«Se esco, poi non mi fanno più entrare!» 

«Puoi passare dal pronto soccorso, non ti faranno storie!» 

Dario si addormentò e io accompagnai Loredana in una pizzeria situata sulla strada statale a un centinaio di metri dall’ospedale. Aveva bisogno di mangiare. Quando tornammo nessuno le fece storie e sali con lei le scale sino all’imbocco del reparto. Le strinsi la mani, l’abbracciai e le dissi che sarei ritornato il giorno dopo. 


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"Grazie per la lettura" 

Il male tra gli ontani in vetrina (tutti i capitoli pubblicati)

8 commenti:

  1. Sono curioso di sapere come finirà

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  2. Ciao Ferruccio sempre piu' avvincente! Anch'io come Ernesto sono curiosa. Sto diventando ripetititiva, ma è un bellissimo romanzo, buona giornata Ferruccio

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  3. Sai una cosa? Questa storia sta diventando così avvincente che seguirla a puntate mi sta diventando fastidioso. Scusami la franchezza. Ti faccio i miei complimenti e aspetto martedì prossimo. Abbraccio

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    1. Lo capisco e perdonami, ma è una cosa che mi serve per motivi di carattere pratico e personale la pubblicazione a puntate
      Grazie Farfalla Legger@

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    2. Scherzavo. Ma sono così presa dallo svolgersi del racconto... Ancora abbraccio con ancora complimenti. Buon fine settimana.

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    3. Mi hanno scritto in diversi che vogliono il libro pronto e hanno smesso di leggere finché non è finito. Potrei capire il tuo disappunto se fosse vero! Mi fanno piacere i tuoi complimenti. Buon fine settimana a te.

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