----- Trentesimo Capitolo -----
Continuavamo a parlare stupidamente sottovoce eppure lui non avrebbe colto il minimo suono uscire dalle nostre bocche. Un serpente sarebbe scomparso nella vegetazione appena avesse percepito le vibrazioni dei nostri passi sul terreno, il tono della nostra voce non avrebbe avuto nessuna importanza.
Adesso la selva era fitta e il sottobosco era ricoperto da felci. Il serpente era più lungo e più grosso di quello che immaginavo e si muoveva sinuosamente e con eleganza e pareva che cambiasse colore a ogni chiaro scuro del bosco. Ogni tanto si fermava sul terreno soffice e ruotava un poco la testa, come se volesse inquadrarci e poi continuava a strisciare leggero e flessuoso, ma senza lasciare la pista. Dubito che potesse davvero vederci a questa distanza. Forse con una manovra a tenaglia avremmo potuto catturalo, ma volevo sapere dove fosse diretto e non volevo irritarlo. Lo seguimmo piano per un bel centinaio di metri o poco più.
All’improvviso in fondo a un falsopiano, sul sentiero, davanti a noi, comparvero due ragazzi. Sbucarono dal nulla. Il rettile virò verso il basso prima che potessero finirgli addosso e scomparve tra le felci.
«Non ci voleva!» esclamai.
«State attenti ragazzi» urlò Dario.
Non capivano cosa stessimo facendo. Giungevano da qualche sentiero dei dintorni. Indossavano delle tute sportive ed erano sudati e impolverati.
«Per tornare in paese?» chiese uno dei due quando ci fu vicino.
Dario li osservò. «Non siete del posto?» gli domandò.
Venivano da una valle bresciana. Erano lì per la corsa. Avevano per larga parte seguito il percorso in maniera inversa andando incontro agli atleti. Dovevano aver sbagliato una deviazione nell’ultimo tratto.
Dario gli spiegò come risalire sul sentiero principale e come arrivare al maggengo. Una volta lì avrebbero di nuovo trovato le indicazioni per tornare in paese.
Non chiesero altro. Ci ringraziarono. Era evidente che si fossero persi. Li osservammo imboccare una traccia nel sottobosco appena sopra la nostra posizione, ma non gli dicemmo nulla del serpente.
«Con certa gente in giro mi domando come non ci sia stata una strage» dissi.
«Sono d’accordo!»
«Accidenti, quasi c’era!»
«Non lo vedi più?»
Feci qualche passo tra le felci sotto il sentiero, mantenendo l’equilibro con il bastone. Non doveva essere lontano, ma non riuscii a cogliere nessun segno.
«Dov’è lo stagno?» chiesi.
«Cinque minuti, più o meno. Pensi sia andato là?»
«Non lo credo affatto. Deve essere qui intorno. Sono solo curioso di vedere il posto.»
In effetti la conca in cui c’era lo stagno sembrava l’habitat adatto per un serpente marrone. La zona era umida e fresca anche in una giornata torrida. C’erano diversi posti adatti alla termoregolazione e molte fessure in cui rintanarsi. Il lago non doveva essere profondo. Era lungo una cinquantina di metri, largo una ventina e aveva il colore della vegetazione circostante. Il lato a monte era come cintato da una parete rocciosa e la riva era coperta da una pietraia morenica. Vidi che in fondo alla radura c’era una strada che saliva dal basso. Era una deviazione sullo sterrato militare che seguiva il corso del torrente molto più in basso.
Insomma per mesi avevamo cercato i serpenti nei luoghi sbagliati. Ne ero quasi sicuro. Mi chiesi come mai non fossimo andati subito da quelle parti. Il mio istinto mi diceva che Mayer poteva essere passato di lì. Un posto del genere doveva averlo colpito. Forse i serpenti erano stati rilasciati nello stesso posto dove eravamo adesso e ognuno di essi aveva colonizzato un proprio areale con il tempo.
Lo confidai a Dario.
«Si spiegherebbero molte cose e potrebbe essere più di un’ipotesi» lui disse. «Ho sempre fatto dei paragoni con i movimenti delle vipere e ho considerato quelle che censisco. Li ho sempre immaginati attorno alle baite.»
«Gli elapidi si spostano di più, sono molto veloci.»
«Senza dubbio.»
«Dobbiamo mettere delle videocamere attorno a questo stagno. Vedrai che non ci scappa più.»
«Bisogna tornare in paese a prenderle.»
«Io mi fermo qui» dissi.
«Scherzi?»
«Per niente. Non scherzo per niente. Non voglio che crei altri problemi. Voglio monitorarlo a vista. A costo di non dormire la prossima notte. Non credo sia molto lontano.»
«Io non ti lascio qui sa solo, sei pazzo?»
«Non correrò rischi inutili. Dubito che possa uscire allo scoperto per il resto del giorno. Ma voglio continuare a battere questo tratto di sentiero finché c’è luce e magari trovare il suo nascondiglio.»
«Non puoi restare da solo. In questa zona non c’è neppure il segnale del telefono.»
«Non mi succederà nulla.»
«Sì, ma se ti succedesse qualcosa?»
«Non succederà nulla. Una volta sono stato fuori nel bush africano tra leoni e iene. Cosa vuoi che mi succeda?»
«Non sono per nulla tranquillo Manuel» disse.
«Devi rassegnarti! Il serpente marrone è un rettile diurno e puoi scommettere che se ne starà rintanato sino a domani mattina. Ma bisogna dare un’occhiata anche all’altro serpente marrone e poi vorrei sapere com’è la situazione per il signore di stamattina.» Era stravolto. «E devi anche riposare un poco.»
«Se chiedessi a Paolo di darti una mano?»
«Se questo potrebbe servire a farti sentire più tranquillo, perché no!»
Dario guardò le ore. Si grattò il mento e scosse il capo. «Vediamo cosa si può fare. Vado fuori sui prati a telefonare e torno a dirti qualcosa.»
Restai solo per un poco. In paese si continuava con il cerimoniale della corsa. La voce dello speaker era più attutita ma si sentiva ancora. La faccenda sarebbe proseguita sino a sera con le premiazioni presso la palestra comunale.
Tornai indietro sul sentiero a perlustrare il punto dove era scomparso il serpente. Con il bastone spostai dei cespugli. Non vidi nulla. Calpestai il sentiero un paio di volte per creare delle vibrazioni sul terreno. Non accadde nulla e tornai sul luogo dove Dario mi aveva lasciato.
Tornò poco dopo. Era più tranquillo, anche se ancora non era del tutto convinto. Mi disse che Paolo sarebbe giunto in serata. Mi avrebbe portato qualcosa per cena e anche un sacco a pelo dove avvolgermi per la notte. Lui sarebbe tornato l’indomani di prima mattina.
Lo salutai e andai a sedermi sopra un masso nella radura vicino al lago. Non mi rilassavo dall’ora di pranzo. C’era lo spazio soffice sull'erba per stendere un sacco a pelo e pensai che sarebbe stato bello passare la notte all’aperto. Da un po’ non lo facevo.
Pensavo che sarebbe stato bello passare la notte in mezzo alla natura se ci fosse stato la ragazza di Lecco adesso. Ma lei aveva paura dei serpenti. Non me lo aveva detto apertamente ma so che li temeva. Magari anch’io le facevo paura. Non si sarebbe sdraiata in un sacco a pelo nel bel mezzo di una radura con un serpente intorno.
Era molto bella quando l’avevi vicina e stretta nel letto. Mi era piaciuto stare con lei nel suo letto un paio di notti e quelle notti erano state le più belle e piacevoli e dolci ed edeniche di quell’estate. Mi aveva lavato i capelli e poi li aveva asciugati e li aveva accarezzati a lungo e aveva riso per il mio piede ferito. Ma non l’amavo.
Ero sicuro di non amarla. Forse aveva tutto per essere deliziosa e amabile e molto di più di ciò che un uomo avrebbe voluto avere al suo fianco, ma qualcosa mi impediva si amarla. E aveva paura dei serpenti.
Forse anche lei non mi amava. Ero soltanto un capriccio estivo per lei. Non le avevo mai chiesto nulla al riguardo. Quando mi guardava cercavo di capire nei suoi occhi che spazio ci fosse per me. C’era soltanto stata una forte attrazione corrisposta e quando questa sarebbe finita non sarebbe rimasto nulla. Sapevo che era così perché mi era già successo. Presto sarebbe partita per le vacanze e magari non l’avrei neppure più rivista. Forse non dovevo pensarci.
Smisi di pensarci.
Guardai verso lo stagno. Adesso il sole giungeva da occidente, illuminava le rocce sovrastanti e si era alzato un po’ di vento. Forse il serpente non sarebbe più uscito sino all’indomani. Poteva essere a una decina di metri dal sottoscritto: in una fessura del terreno nel tronco marcio di un albero. Magari mi stava osservando.
Paolo giunse poco prima del tramonto. Era salito con la moto sino al maggengo. Poi aveva percorso a piedi il tratto che ci separava. Conosceva la zona e non gli era stato difficile capire dove trovarmi. Aveva dei panini, delle bibite e il necessario per stare lì a trascorrere la notte. Il resto del materiale tecnico lo avrebbe portato Dario l’indomani. Era contento e fiero di potermi dare una mano. Gli chiesi se aveva paura.
Sorrise. «Dovrei averne?»
«Non necessariamente. Non credo che si farò vivo!»
Sorrise un’altra volta. «L’ho pensato anch’io.»
«Però voglio anticipare le sue mosse domani.»
«Dove sarà adesso?»
«Non credo sia molto lontano. Avrà trovato qualche buco, magari è nella tana di un biacco.»
«Non è mica ofiofago?»
«Lo è anche il biacco.»
«Già, lo è anche il biacco.»
«A volte quando vanno in letargo ci sono serpenti di ogni genere in un rifugio.»
Paolo scosse il capo. «Che estate allucinante» disse.
«Nei prossimi giorni riusciremo a catturarlo e finalmente la finiremo» dissi io. «Vedrai!»
Mangiammo i panini seduti sui sassi, poi accendemmo una torcia e preparammo il campo per la notte. Era buio e in lontananza si vedeva l’alone delle luci del paese. Pulimmo il terreno e stendemmo i due sacchi a pelo sull’erba. I suoni e le voci, lontano, continuarono sino alla mezzanotte.
Alla fine ci sdraiammo sull’erba. Chiacchierammo un poco e parlammo di serpenti e poi di calcio e poi discutemmo di musica pop e forse anche di ragazze e dopo un po’ mi accorsi che Paolo dormiva. Io invece non mi addormentai.
La notte era calda e non potevo stare dentro il sacco a pelo. Mi appisolai ma continuai a sentire i rumori della selva e il respiro di Paolo lì vicino. Un paio di volte mi alzai e accesi di nuovo la torcia e illuminai il sentiero e poi gli alberi e il lago davanti, ma non vidi nulla che potesse suscitare interesse.
Finché verso le due di notte ci fu quel boato sordo e violento e prepotente e poi la luce abbagliante sul crinale dove c’era il paese. Ci alzammo entrambi e corremmo sul sentiero poco più in alto sino al punto in cui ci fu possibile vedere le fiamme. Sembrava che qualcosa fosse esploso e ora il fuoco saliva alto nel buio. Udii il suono profondo e intenso di una sirena d'allarme e poi fu un continuo suono di altre sirene più leggere. Dopo una decina di minuti arrivò anche un elicottero.
Non capivo cosa stesse accadendo. Paolo provò a chiamare qualcuno ma non c’erano segnali. Neppure il mio telefono era utilizzabile. Sembrava che stesse bruciando una casa in paese ma non ero in grado di capire in che zona fosse divampato l’incendio. Dal botto pareva fosse scoppiata una bomba.
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"Grazie per la lettura"
Sembra che tutto stia precipitando e tu ci lasci con il fiato in gola sul più bello o sul biu'brutto...
RispondiEliminaNotavo fortemente la descrizione dettagliata dell'ambiente in cui si inoltrano Manuel e Dario,coinvolge il lettore a camminare assieme a loro,bello!
L.
Grazie mille Linda, vediamo adesso cosa accadrà
EliminaE ora cosa sta succedendo?
RispondiEliminaVedremo, vedremo... Grazie Ernesto
EliminaSi ci lasci sempre sul più bello!! Buona giornata Ferruccio
RispondiEliminaGrazie Anna, buona giornata a te
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