----- Trentaseiesimo Capitolo -----
A mezzanotte la gente continuava a cantare. Non sarebbe stato semplice salire in camera e dormire con le finestre aperte. Dopo un poco uscii sulla strettoia davanti all’entrata dell’albergo, sperando che la faccenda non proseguisse a lungo. Sedetti sugli scalini della macelleria di fronte nella penombra a fissare la porta d’entrata.
Non era la prima volta che ci fosse questo genere di feste un paese. Nei fine settimana estivi succedeva spesso: a volte per il banchetto di un matrimonio, oppure per la cena di qualche associazione. Le sale si riempivano e finiva sempre con la gente che cantava. Quella che non cantava stava davanti al banco a ubriacarsi.
Non volevo lasciarmi coinvolgere. Voleva dire finire ubriaco per l’ennesima volta. Mi era successo troppe volte. Non volevo bere quella sera.
In realtà non so cosa volessi. Forse volevo qualcuno con cui parlare un poco e non sentirmi estraneo, però volevo farlo senza essere costretto a bere. Molta gente non sapeva neppure dove fosse Treviso. La signora dell’albergo non mi faceva sentire solo, ma adesso era impegnata. A sua figlia non piacevo molto o forse le piacevo ma era sempre distaccata. Non mi guardava mai negli occhi quando parlava. Aveva un’espressione fredda e un viso indifferente. Evitava di parlarmi.
Potevo salire in camera, ma sarebbe stato peggio. In camera non avevo neppure un televisore. Non lo avevo mai voluto. Magari mi sarebbe stato utile. Più di una volta la signora si era offerta di portarlo. Le avevo sempre detto no.
Così adesso ero seduto sopra un paio di scalini e non sapevo cosa fare. Guardavo chi usciva dalla porta e speravo che smettessero di cantare al più presto. La gente era sudata e molti avevano il viso rubicondo. Uscendo mi osservavano e qualcuno diceva qualche parola e intanto mi guardava ma capivo che non era diretta a me. Qualcuno però si chiedeva chi fossi.
Restai lì almeno un’ora. Gli ultimi uomini uscirono verso le due. La signora li spingeva fuori dalla porta con una scopa e rideva.
«Sei ancora qui?» chiese quando mi vide.
Mi alzai. «Non sarebbe stato per nulla semplice dormire con questi canti.»
«Mi spiace Manuel.» Colpì con la scopa uno degli uomini. «Siete dei criminali a impedire alle persone di dormire.»
Uno dei signori mi osservò. Aveva brutti denti e uno strano sorriso. Era grosso e aveva grosse spalle e le sue mani parevano le lame dei badili. Disse qualcosa riguardo ai saettoni dapprima, poi si premurò di farmi sapere quanto fosse solidale riguardo all’incendio al cascinale. Disse che non era stata gente del posto per conto suo. Conosceva bene i suoi compaesani: metteva le mani sul fuoco.
«Non ha importanza chi sia stato a questo punto» dissi.
«Resterai qui ancora molto?» chiese.
«No, adesso vado a dormire.»
«Intendevo in paese.»
«Resterò sino a quando sarò necessario.»
«Adesso lascia che vada a dormire» disse la signora. L’uomo era ubriaco e forse pensava che le sue parole potessero essermi di aiuto. Con una mano si toccava il naso e intanto borbottava. Forse voleva soltanto fare amicizia, ma ero stufo e nauseato di amici ubriachi.
Andai di sopra. Lo sentivo parlava ancora. Aveva un tono di voce forte e profondo. Smisi di sentirlo quando chiusi la porta della camera. Ma continuai a udire gente che parlava perché avevo la finestra aperta. Alla fine mi addormentai nonostante le voci.
Dormii sino a tardi quella mattina. Stavo facendo colazione quando vidi Loredana entrare nella sala da pranzo.
«Disturbo?» chiese.
«No, siediti, vuoi qualcosa?»
«No…»
Prese una sedia e sedette di fronte. Era molto bella.
«Sta bene Dario?»
«Sì, lunedì lo dimettono.»
«Meno male.»
Loredana si girò a guardare vero la cucina. Poi studiò le altre persone nella sala.
«Sei arrabbiato?»
«Arrabbiato?»
«Sì, arrabbiato.»
«Perché?»
«Non lo so. Dimmelo tu, sei strano in questi giorni.»
«No, non ho nulla, magari sono un po’ stanco.»
«Ieri sera quando sono tornata dall’ospedale, volevo passare di qua.»
«Perché non sei passata: è stata una serataccia. Mi avrebbe fatto piacere se tu fossi passata. Hanno cantato sino a notte fonda.»
Loredana rise. «Capita spesso da queste è parti.»
«Dovevi passare, mi avrebbe fatto piacere.»
«C’era mia sorella, non sapevo che scusa inventare… Vuoi venire in ospedale nel pomeriggio, sempre che tu non ce l’abbia con me?»
«Perché dovrei avercela con te? Certo che vengo.»
Rise un’altra volta. Senza motivo. «Dario mi ha chiesto dei filmati.»
«Capisco, gliene parlerò oggi. Vengo a prenderti con l’auto a casa?»
Si aggiustò i capelli, senza motivo. «Andiamo con la mia, ti fidi?»
Accompagnai Loredana sino al mercato in piazza. Ci accordammo per il pomeriggio e la lasciai dal fruttivendolo. Poi scesi sino a un caffè in fondo al viale principale. Non c’era molta gente. Cercai tra i tavoli qualche viso conosciuto ma capii che era inutile.
Ordinai un aperitivo e presi il giornale sportivo sulla mensola. A dire il vero non c’erano molte notizie da leggere. Lo sfogliai ma non ci lessi nulla di interessante. Rimisi al suo posto e andai sulla soglia a guardare in strada.
Verso mezzogiorno tornai verso la piazza e comprai delle crocchette di patate. Sedetti su una panchina e la mangiai mentre aspettavo l’arrivo di Loredana.
Fu puntuale.
All’una lasciammo il paese. Loredana volle percorrere la valle interna sino a Dervio. La strada era stretta e impervia, e attraversammo boschi e alcuni paesini deserti. C’erano bricchi e canaloni e per qualche chilometro la strada proseguì scavata nella roccia. Vedevo Loredana concentrata e non capivo perché avesse scelto questa strada. Ogni tanto doveva fermarsi per dare la precedenza alle auto contrarie. Forse Mayer avrebbe dovuto liberare i serpenti in quella zona, invece che nel parco. Sarebbe stato più divertente.
Oltrepassammo Tremenico e Introzzo, finché a Sueglio la strada cominciò a scendere a tornanti verso il lago e capii il motivo della sua scelta. Sembrava di essere dentro una cartolina. Costeggiammo il lago tra baie e piccoli golfi sino a Colico. Superata la città riprendemmo la strada di sempre.
Era sabato pomeriggio e il traffico pareva più scorrevole anche sull'altro ramo del lago, nonostante i turisti stranieri. A Gravedona seguimmo le indicazioni per l’ospedale.
Trovammo Dario all’entrata del reparto. «Vi aspettavo.»
Loredana lo baciò sulla bocca. Poi gli prese una mano. Percorremmo il corridoio e tornammo alla camera. Pareva un giorno tranquillo in ospedale. Loredana sistemò della biancheria in un armadio e andò in bagno.
Io aggiornai Dario sulla situazione. «Penso sia una femmina» gli dissi.
«Davvero?»
«Dalle riprese, ho pochi dubbi.»
«Hai fatto qualche piano per catturarla?»
«Ho qualche idea. Tu invece: ti sei fatto qualche idea su chi possa essere stato a dar fuoco al cascinale?»
«Sono quasi certo di chi possa essere stato, ma non ho prove purtroppo.»
«Prenderemo prima il serpente marrone e poi toccherà a loro… A proposito Paolo è stupendo per l’aiuto che mi sta dando in questi giorni.»
Si girò verso Loredana. «Un altro appassionato di rettili.»
«Pensavo di far salire Luca, ma credo non sia necessario» dissi.
«Ce la faremo noi tre?»
«Ne sono più che sicuro.» Indicai Loredana. «Male che vada porteremo lei!»
«Me lo ha detto.»
«È stata molto coraggiosa.»
Dario la guardò. Loredana arrossì. «Qualcuno in famiglia deve lavorare.»
Restammo in ospedale sino alla sette. Dario si rase la barba e Loredana gli lavò i capelli. Gli servirono la cena e subentrò il turno che avrebbe fatto la notte. Prima di andare via gli dissi di riposarsi, perché la settimana successiva avremmo dovuto affrontare una battaglia.
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"Grazie per la lettura"
Non mi sono perso un capitolo e sono contento di averlo fatto
RispondiEliminaGrazie Ernesto, prezioso
Eliminaciao Ferruccio,
RispondiEliminauna curiosità: eviti accuratamente di citare il nome del paese dove si svolge la storia, ma descrivi esattamente i dintorni e gli altri paesi limitrofi... perchè?
E poi una constatazione: non so se succede solo a me, ma leggendo il romanzo a puntate in questo modo sembra che passino mesi interi, invece sono passati solo pochi giorni.
ciao
a Venerdì. ;)
Danila
Sono quelle cose suggerite dall'inconscio che non so spiegarmi. In una prima stesura avevo usato dei nomi fittizi e non mi piaceva affatto. Credo di saperlo ma è difficile da piegare, quando lo pubblico su cartaceo e avrò occasione di parlarne spiegherò il motivo - più che altro si tratta però di una motivazione di carattere tecnico.
EliminaMi rendo conto dei limiti di una pubblicazione a puntate. L'altro ieri una persona per email mi diceva che aveva appena scoperto il romanzo, ha letto tutto insieme ed era entusiasta, ora so che si troverà a leggere il resto con il freno a mano tirato
p.s. dovrò leggere anche l'altro. Ma aspetto la fine di questo, altrimenti tre tutti insieme rischio la confusione mentale.
RispondiEliminaAHAHAH.
ciao
Ti capisco!
EliminaTi avevo letto ieri di fretta non posso mancare questo appuntamento, sempre piacevole Ferruccio! Buona giornata
RispondiEliminaGrazie Anna
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