----- Trentacinquesimo Capitolo -----
Caricai lo zaino nel baule e poi aprii la portiera e Loredana sedette e io richiusi la portiera e Loredana mi guardò ma io distolsi lo sguardo e anche Paolo mi guardò. Montai in auto, avviai il motore, ingranai la marcia e gli dissi di seguirmi. Non volevo restare solo con Loredana.
Dio non farmi restare solo con lei!
Tornando in paese non parlai. Eravamo in silenzio nell’auto e ascoltavo il rumore del motore e i fruscii della notte e ogni tanto osservavo lo specchietto retrovisore e vedevo il faro della moto che mi scortava sulla strada.
Paolo mi seguì sino all’imbocco del paese, poi mi sorpassò, percorse un centinaio di metri, rallentò e fece segno di fermarmi. Accostai sulla destra della strada in una piazzola illuminata e abbassai il finestrino. Lui scese dalla moto, l’appoggio vicino al muro di sostegno della strada e si avvicinò all’auto.
«Io avrei molta fame. Che dite: ci fermiamo al pub a cena?»
Guardai Loredana, lei si chinò un poco in avanti e lo osservò di sbieco. «Anch’io ho fame, ma non ho portato soldi. Se vuoi possiamo andare a casa mia. Vi posso cucinare un piatto di spaghetti!»
«Niente spaghetti. Non ho voglia di pasta. Non importa dei soldi. I soldi li troviamo. Ho voglia di Pub!»
«Hai qualche puntello Paolo?» chiese Loredana.
«No, ho voglia di pub e basta.» Mi indicò con l’indice. «Lui sì che aveva un puntello fino a qualche giorno fa.»
«Lo sappiamo, lo sappiamo» disse Loredana. «Dai, vi aspetto lì.»
Lasciai l’auto nel parcheggio di una fabbrica venti metri sopra il locale. Loredana mi aspettò in piedi mentre la sistemai tra le strisce. Il locale era quasi deserto. C’erano un paio di ragazzini che giocavano a freccette e alcuni signori seduti attorno a un tavolo: mangiavano panini. Era l’ultima settimana di apertura del locale prima delle ferie.
Ci accomodammo sulle poltroncine alla sinistra del lungo bancone. Sulla parete in fondo ci stava un grande televisore che trasmetteva video musicali. Ricordavo di esserci stato da ubriaco poche settimane prima ma non ricordavo che faccia avessero gli inservienti. Una signorina arrivò a prendere le ordinazioni. Non mi fece una bella impressione. Era impaziente. Mi accodai alle scelte di Paolo e Loredana. Presi una pizza e una birra.
«Non c’è più la biondina?» domandò Paolo.
«Non l’ho più vista. Credo sia partita per le vacanze.»
«Era molto carina!» disse Loredana.
«Già!»
«Non fartela scappare.»
«Credo sia già scappata, ma non importa.»
«Perché scappata?»
«Non eravamo in sintonia.»
«Ti ho visto una sera con lei in questo locale e sembravate piuttosto affiatati» disse Paolo.
«Ero ubriaco quella sera.»
«Ti devi trovare una ragazza Manuel» disse Loredana. «Mi piacerebbe vederti sposato. Ma le mie amiche non le vuoi neppure conoscere.»
«Che ci vuoi fare.»
«Tu non lo vedresti sposato?» chiese a Paolo.
Paolo alzò le spalle.
«Per ora non ci sono mai andato vicino, ma è una storia vecchia. Suppongo sia colpa dei serpenti. Le donne hanno paura degli uomini che lavorano con i serpenti» dissi.
«Io non ho paura di Dario.»
«Tu Loredana sei un caso a parte.»
«Che scemo.»
Feci una smorfia. Lei sorrise e scosse il capo. Arrivò la signorina delle ordinazioni. Disse che aveva preparato un tavolo in un altro angolo del locale. Magari avremmo preferito sederci lì, saremmo stati più comodi.
Quel giorno a pranzo avevo mangiato solo una brioche. Avevo fantasticato sul mio ritorno in albergo a mezzanotte con una bella abbuffata prima di dormire. La pizza adesso ci voleva. Era più grande del piatto. La tagliai a metà. La pasta era surgelata ma il condimento era fresco e non volevo di meglio. Era croccante e i funghi che la ricoprivano erano freschi e saporiti. Loredana disse che erano del luogo. Tagliai di nuovo la prima metà e la divorai, presi il pezzo tra le dita cercando di non sporcarmi. Era buona. Anche la birra era buona. Ne presi un’altra prima di finire la pizza.
«Quando le controlliamo le registrazioni?» chiesi a Paolo.
«Quando vuoi.»
«Domani mattina è possibile usare il computer e vederle?» chiesi a Loredana.
«Io vado in ospedale solo nel pomeriggio, quindi potete passare e fare le vostre cose.»
Prima di lasciare il locale, il proprietario volle sapere se c’erano ancora serpenti in giro per i boschi. Erano accadute troppe brutte cose quell’estate. Sperava di tornare dalle vacanze e ritrovare il paese come lo aveva sempre visto e vissuto. Era stufo di astio e di odio.
Qualcuno gli chiese dove si sarebbe recato in vacanza. Andava negli Stati Uniti di America. Chiese se negli Stati Uniti ci fossero serpenti velenosi. Qualcuno gli aveva detto che c’erano delle vipere velenosissime. Negli Stati Uniti non c’erano vipere, dissi: era stato informato male. Gli Stati Uniti erano la terra dei serpenti a sonagli. In certi Stati finivano nei piatti preparati dalla cucina dei migliori ristoranti. Per qualcuno erano una prelibatezza da mangiare. Sapevano di pollo e si cucinavano alla griglia con il veleno e tutto il resto. Nel Texas li mangiavano al posto delle pizze. Allora avrebbe fatto la fame, anche se non sarebbe passato nel Texas con il viaggio.
Pagammo e uscimmo. Paolo ci salutò e restai solo con Loredana. L’accompagnai a casa con l’auto. Mi fermai sul piazzale che sovrastava la sua villetta.
«Ci vediamo domani mattina?» chiese.
«Certo. Ti spiace se ti lascio subito lo zaino?»
«Va bene.»
Spensi il motore e scesi dall’auto. Aprii il baule. Afferrai lo zaino per le cinghie, ma prima che potessi imbracciarlo Loredana me lo strappò di mano.
«Lo prendo io. Vai altrimenti trovi l’albergo chiuso: è molto tardi!»
«Ma va è un attimo» dissi.
«Non pesa nulla, buonanotte Manuel.»
Non disse altro. Alzò la mano e si diresse verso una scala laterale. Mi domandai che cosa le stesse passando nella testa. La osservai fino a quando scomparve. Non la vidi mai girarsi dalla mia parte. Notai una luce accendersi in giardino. Montai in auto e me ne andai.
Il mattino dopo feci colazione in albergo. Avevo appuntamento con Paolo da Loredana. Era tardi e mangiai in fretta. Poi uscii, girai a destra e imboccai una scalinata tra le viuzze sulla sinistra in mezzo al paese. La strada era all’ombra tra i portici delle case vecchie.
Non ero molto contento di tornare da lei. Mi aveva lasciato in modo freddo la sera precedente. Mi aveva lasciato chiamandomi per nome ma era stato lo stesso fredda e distante. Adesso dovevo soltanto andare a visionare dei filmati. Stavo in quel paese per motivi professionali. Speravo di chiudere al più presto quella faccenda e andarmene. Sarei stato professionale, più delle altre volte. Mi sarei limitato a studiare i filmati. Non avrei fatto lo stupido.
Loredana sorrise appena mi vide. Paolo era lì. Andammo da basso nella taverna e scaricammo i filmati sul computer. La qualità era buona ma nella prima ora di registrazione non cogliemmo nulla di importante. Mi alzai un paio di volte per sgranchirmi e ogni volta sperai di vedere scendere Loredana dal piano di sopra. Sentivo i suoi passi mentre guardavo sul video del computer le immagini. Suggerii a Paolo di velocizzare la visione del filmato. Verso la fine della registrazione apparve quello che pareva un serpente marrone, ma fu solo un istante. Pensai di verificare subito sull’altra registrazione. Avevamo piazzato le videocamere a una ventina di metri l’una dall’altra. Più o mano alla stessa ora della registrazione il serpente apparve. In questo filmato era nettamente più riconoscibile.
«Eccolo» dissi.
«Incredibile» disse Paolo. «È lui?»
«Credo sia una lei.»
«Una lei?»
«Temo di sì.»
«Come lo capisci!»
Glielo spiegai.
«Sei sicuro?»
«Vorrei dire di no!»
«Un maschio e una femmina potrebbero essere un bel problema.»
«Spero di sbagliarmi.»
Arrivò Loredana. Disse che a breve sarebbe andata in ospedale. Potevamo restare in taverna tutto il tempo necessario. Non occorrevano chiavi per uscire. Una volta chiuso al cancello all’esterno non sarebbe più stato possibile rientrare. Disse che in cucina aveva lasciato del pane, dell’affettato e del formaggio.
«Devo dire qualcosa a Dario?» mi chiese.
Aveva un filo di trucco sul viso. Era molto bella.
«No, non per il momento.»
«Ci vediamo quando torno. Paolo ti affido casa mia.»
Restammo a visionare i filmati sino alle due. Li verificammo con più attenzione. Osservai il serpente con scrupolo. La conclusione che ne trassi è che si trattava davvero di una femmina.
«Credi ci siano anche dei piccoli?»
«Non lo so… Potrebbero esserci.»
«Se ci sono quanto tempo potrebbero avere?»
«Potrebbero essere nati la scorsa primavera. »
«Che si fa?»
«Sappiamo dove trovarla: dobbiamo prenderla. Non c'è altro da fare.»
Me ne andai in albergo. Salii in camera e mi sdraiai un poco. Dormii un paio di ore e sognai di avere delle greche decorative sulla guancia destra. Ricordo che nel sogno mi alzai e andai a lavarmi la faccia e mi ritrovai nei pressi di uno stagno che assomigliava molto a quello che c’era nel parco. Le greche però non riuscivo a cancellarle e c’era Dario che nel sogno rideva e diceva che ciò succedeva perché stavo facendo la corte a sua moglie.
Quando mi svegliai andai subito a guardarmi allo specchio. Non avevo nulla. Presi una sedia, aprii le persiane e telefonai a un po’ di gente, restando seduto davanti alla finestra.
Luca mi chiese quando sarei tornato a Treviso. Mi disse che c’erano degli avvisi di posta raccomandata da ritirare. Ancora non lo sapevo, ma presto si sarebbe sistemato tutto e sarei tornato in città. Mi disse che era passata della gente a cercarmi per dei lavori. Gli chiesi se la banca lo avesse pagato. Era tutto a posto. Dopo la mia telefonata sarebbe andato al mare. In pianura faceva caldo, ma non mancava nulla ai miei serpenti. Bene.
Con un'altra telefonata seppi che anche il giovanotto azzannato durante la corsa era stato dimesso dall’ospedale. Nel suo sangue non era stato trovato veleno. Presto avrebbe ricominciato a correre tra i sentieri. Sbrigai anche alcune faccende di carattere burocratico legate all’assicurazione e questo aspetto mi spinse a chiedere aggiornamenti ai carabinieri. Mi fu passato il maresciallo. Mi disse che al momento le cose erano ancora in alto mare.
Più tardi feci una doccia, mi cambiai e scesi da basso. Le finestre delle sale erano spalancate. Mancava poco all’ora di cena. Avevo il mio tavolo fisso ma quella sera pensai di cenare in veranda. La signora mi servì del pesce e dell’insalata mista e bevvi un po’ di vino bianco. Il pesce era buono e il vino fresco e leggero ma non vidi nessuno con cui poter parlare.
Restai solo durante tutta la cena.
C’erano un paio di compagnie con gente del paese e alcune famigliole con bambini piccoli. Tornavano da una festa che si era tenuta in un luogo vicino. A un certo punto qualcuno iniziò a cantare delle nenie popolari. Comparve una fisarmonica. Cantavano un po’ tutti. Anche la signora cantava. Adesso stava alla cassa e cantava sottovoce. Forse era un bel modo per finire la giornata.
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"Grazie per la lettura"
Il male tra gli ontani in vetrina (tutti i capitoli pubblicati)
Lo trovo molto più complesso di quello che mi pareva all'inizio, bravo
RispondiEliminaGrazie Ernesto
EliminaIn Arizona e nel Nevada fanno anche le gare di caccia di serprenti a sonagli. Ci sono le foto nei pub di chi prende il serpente a sonagli piu' lungo, come qui i pescatori. Poi con i sonagli fanno dei souvenir. Procede alla grande questo romanzo, complimenti Ferruccio, e buona giornata
RispondiEliminaImmagino., mi pare quasi di vedere i cacciatori di rattlesnakes.
EliminaGrazie Anna
Manuel si sta innamorando...e ne ha paura. Perché l'amore fa paura?
RispondiEliminaComplimenti a te.
Grazie mille Farfalla Legger@
EliminaNon avevo notato il ? è una bella domanda
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