----- Venticinquesimo Capitolo -----
Adesso c’era il sole alto e faceva caldo nella valle. La cattura del serpente mi aveva svuotato. Verificai un’altra volta che il sacco fosse chiuso e avvolto per bene e lo portai sino all’auto di servizio parcheggiata all’imbocco della carrareccia militare sotto le baite. Lo misi nel baule con gli strumenti che mi erano serviti per la cattura, ma piegai in avanti il sedile posteriore in modo da non perderlo di vista durante il viaggio di ritorno in paese.
Dario guidò l’auto scendendo piano e usando le marce basse. Conosceva la strada ed evitò buche e scossoni. La carrareccia era stretta e polverosa e, in alcuni tratti, assai ripida. Adesso stavamo fiancheggiando un pianoro. Il torrente scorreva vicino sulla sinistra e in fondo scorgevo una cappella posta sopra un piccolo promontorio illuminato dal sole. Ogni tanto mi voltavo e studiavo il sacco. Il serpente, all’interno, si muoveva appena.
«Dove lo mettiamo?» chiesi.
Dario non distolse gli occhi dalla strada. «Potremmo metterlo in uno dei miei ripostigli» rispose.
«Speriamo di non doverlo tenere a lungo. Fossi stato a Treviso avrei saputo cosa fare.»
«Puoi mettere in piedi un terrario usando una delle teche che possiedo. Sempre se te la senti.»
«Potrebbe essere un’idea. Anzi mi sembra un’ottima idea: ci arrangeremo così.»
Dario era attrezzato. Una volta in paese, ci fermammo presso uno stabile posto sulla circonvallazione esterna. Mi aveva mostrato in precedenza cosa ci teneva. All’interno c’erano delle strutture che usava in caso di necessità. C’era una teca di vetro che faceva al caso nostro.
Dario non l’aveva mai usata. Era nuova. Ci mettemmo una bacinella d’acqua e del fogliame. Poi presi il sacco dal baule e lo adagiai nella teca. Sfilai il laccio che lo teneva chiuso affinché il serpente fosse in grado di fuoriuscire. Abbassai il coperchio della teca e restai lì ad aspettare.
Ci vollero un paio di minuti per vederlo uscire. Il rettile non sembrava stressato. Strisciò sul fondo molto lentamente e si diresse verso la bacinella dell’acqua. Sembrava in salute e mi domandai da quanto tempo non mangiasse. Noi non mangiavamo dal mattino. Mi avvicinai piano alla teca per non innervosirlo. Il rettile si fermò: le iridi nere sembrava mi fissassero. Non fece nulla.
In paese si sparse la voce della cattura. Nel pomeriggio arrivarono il sindaco e il comandante della stazione di Lecco. Vollero vedere il serpente. Restarono impressionati. Più tardi arrivò Loredana con dei panini e delle bibite. Osservò il serpente nella teca. Accarezzò il volto di Dario e gli sussurrò qualcosa di tenero, poi mi guardò, sorrise e mi disse che ero un pazzo.
Verso le cinque, ovviamente, comparvero i giornalisti. Me lo aspettavo. Uno era il tizio conosciuto al funerale del muratore. Aveva in mano un registratore. Non lo avevo più visto dopo quella volta. Altri due giornalisti venivano da Lecco. Fecero le foto al serpente e al sottoscritto e a Dario e poi al sindaco e poi di nuovo al serpente e poi una foto tutti in gruppo davanti alla teca con il serpente che si muoveva all’interno e poi mi fecero un bel po’ di domande e mi chiesero se non avessi paura a prendere dei serpenti con le mani. Il giorno dopo sarebbe uscito l’articolo. Giunsero dei bambini e ci chiesero di poterlo vedere, ma non mi divertii a spaventarli questa volta.
A sera tornai in albergo. Salutai la signora e andai in camera a cambiarmi. Mi lavai, chiamai Treviso e parlai un poco con Luca. Non c’erano problemi a casa e gli raccontai i fatti degli ultimi giorni. Non poteva immaginare quanto fosse bello un serpente marrone. Disse che gli sarebbe piaciuto vederlo. L’avemmo tenuto in paese per un po’ di giorni: il tempo che la burocrazia ci indicasse la strada migliore da seguire. Magari poteva salire nel weekend. Mi avrebbe fatto sapere.
Lo salutai e andai a sdraiarmi un po’ sul letto. Forse avevamo risolto metà del problema. Speravo che l’altro serpente non avesse lasciato l’area del parco. Non dovevano essercene altri. Forse erano due maschi o forse erano due femmine. Domani avrei studiato il serpente nella teca e magari lo avrei capito. Averne catturano uno mi dava la certezza che sarei stato in grado di catturare anche l’altro. Bene. Ci avrei pensato domani.
Ora dovevo soltanto pensare a una serata finalmente diversa. Indossai dei jeans e una camicia bianca e delle scarpe da tennis bianche e mi guardai allo specchio. Ero abbronzato e i capelli erano ancora più biondi e lunghi. Avevo un po’ di barba. Non stavo male con la barba. Sembravo un po’ un avventuriero. Era quello che di mio piaceva alle donne.
Scesi da basso. Sedetti un poco ad aspettare Dario e sua moglie. Saremmo usciti a cena con il sindaco e altra gente. Ordinai un prosecco. Faceva caldo e l’albergo si stava riempiendo di gente per la gara di domenica. Qualcuno mi scambiò per un atleta e mi fu sconsigliato di bere.
Cenammo nel ristorante di un paese vicino. Qualcuno diceva fosse il posto migliore della zona. C’erano Dario, Loredana, il sindaco e sua moglie e un po’ di altra gente che non conoscevo. Quando arrivammo ci diedero una saletta riservata. Sedetti tra Loredana e il sindaco.
Non avevo molta fame. Avevo mangiato due panini con il salame nel pomeriggio ma non mi risparmiai con il bere. Bevvi un paio di ballon di vino Sforzato di troppo e anche un flute di passito con del dolce. Tutta roba di qualità ma ad alta gradazione.
Quando mi alzai dal tavolo ero un po’ ubriaco. Mi giustificai dicendo che era una reazione alla tensione e al troppo stress accumulato in quei giorni. Non so se fui creduto. Forse finsero di credermi o forse ci credettero veramente, anche perché Dario avvalorò la mia tesi.
Una volta in paese ci fermammo a bere di nuovo in un pub. Una delle persone presenti a cena fece servire dalla cameriera del locale una sfilza di amari. Lei li allineò sul banco e li riempì tutti allo stesso livello. Ne bevvi uno e poi non so perché ne presi un altro e poi mi misi a parlare con qualcuno di serpenti e poi mi accorsi che c’era un po’ di gente che mi ascoltava e forse esagerai un poco con i miei racconti.
Alla fine andai in bagno e quando tornai non vidi più nessuno. Cercai Dario e Loredana dall’altra parte del banco. Erano spariti. Cercai il sindaco nel locale. Lo vidi e mi avvicinai a lui ma quando fui vicino mi accorsi che si trattava di un uomo che gli assomigliava. Rise e io mi scusai.
Mi sentii terribilmente solo e disperato a questo punto. Non avevo speso nulla in tutta la sera ma ora stava pagando il mio conto in un altro modo. Magari alla fine il costo sarebbe stato più alto. Invidiai Dario e Loredana. Certe persone erano felici molto facilmente. Avrei voluto essere come loro. Dovevano sentirsi un re e una regina e dovevano essere i padroni del loro mondo. Doveva essere una bella sensazione. Io non aveva mai avuto tra i piedi una regina. Avevo detto a molte donne che erano regine.
La moglie di Dario, Loredana, era una regina. Era molto graziosa e non so cosa le avrei fatto. Forse certe cose non dovevo pensarle. Voleva trovarmi una moglie. Tra le sue amiche c’erano diverse regine. Magari mi avrebbe trovato una regina e una moglie. Non avrei mai detto a lei che era una regina, in ogni caso. Mi domandai perché pensavo a certe cose. Chissà dove erano finiti tutti.
C’era ancora musica nel locale e le voci all’improvviso erano più forti. Tutto girava all'interno e dovetti uscire a vomitare da qualche parte nel parcheggio. Vomitai un paio di volte con vigore cercando di non farmi vedere e vomitai fin quando il vomito uscii dal naso e allora mi pulii con il fazzoletto. Lo buttai tra le auto e tornai dentro a cercare tra la gente qualcuno che conoscevo.
Non sapevo dove fosse Dario. Forse era andato via. Doveva essere sparito con sua moglie quando avevamo cominciato a bere al banco. Avevo bevuto molto e avevo mangiato poco e adesso non riuscivo neanche a parlare. Non era in grado di fare la mia parte. Avrei dormito senza cercare un letto. Mi era ubriacato lentamente con il vino, poi di botto avevo bevuto il passito e poi gli amari ed era stato come finire di colpo in sala operatoria con il medico anestesista che ti diceva di contare e ora non sapevo neppure in che modo farlo talmente era nauseato.
Ero depresso. Faceva male ridursi in questo stato. Sapevo che finiva in questo modo quando bevevo troppo ed evitavo di farlo ma a volte era molto forte la tentazione e finivi con il non trattenerti e allora stavi male prima fisicamente e poi moralmente. Finché era veramente dura tenersi dentro la miseria.
A volte in queste condizioni avevo pensato di morire. Sapevo che non lo facevo poiché ero ubriaco però l’avrei fatto. Domani ci avrei pensato. Magari dovevo farmi mordere da un serpente velenoso. Conoscevo un serpente marrone che magari lo avrebbe fatto volentieri. Non credevo che Dario sarebbe finito in quel modo. Lui ne era convinto. Forse anche sua moglie ne era convinta. Io sarei morto di vecchiaia. Non avevo le caratteristiche dell’eroe per morire prima. Magari sarei morto qualche anno prima di diventare veramente vecchio. D’altra parte il morso della vipera che avevo avuto da bambino doveva influire in qualche modo. Evviva.
Tornai dentro. Non ricordavo nulla.
«Cosa ci fai qui?»
«Eh» dissi.
Mi voltai era la ragazza di Lecco.
«Dio che faccia!» esclamò.
«Ho vomitato fino a qualche minuto fa. Credo di aver buttato il tuo fazzoletto per sempre.»
Rise. «Fa niente. Bevi qualcosa di caldo. Ti farà bene.»
«Non credo possa servire. Che ore sono?»
«Le due.»
«Le due?»
«Le due.»
Non ricordavo ciò che era accaduto nell’ultima ora.
«Sono a pezzi.»
«Lo vedo!»
«Devo andare a casa!»
«Devi tornare in albergo?»
«Sì, in albergo: è lontano?»
Lei sorrise. «No, non è lontano.»
«Mi sa che non so arrivarci. Non hai visto i miei amici?»
«No!»
«Che ore sono?»
«Le due, me lo hai appena chiesto.»
«Non credo che l’albergo sia ancora aperto adesso.»
«Neppure io lo credo.»
Non tornai in albergo. La ragazza ordinò una camomilla e poi restammo a lungo seduti fuori a parlare su una panchina davanti all’ingresso del locale. Vedemmo la gente andarsene e vedemmo quando il proprietario si affacciò a dirci che stava chiudendo. La ragazza gli disse che non ci saremmo trattenuti oltre. Ma non fu così. Continuammo a parlare.
In realtà parlai soltanto io. Non so cosa le raccontai. Magari le parlai di serpenti e di come avevo catturato un serpente marrone. Oppure le parlai della vipera del morte. O magari di soldi e giornalisti famosi. Probabilmente le dissi che più tardi ci sarebbe stato un articolo sui giornali. Le dissi anche che da qualche parte in paese avevo un'automobile, ma non so perché glielo dissi. Le dissi che mi sarebbe piaciuto avere una sorella come lei. Magari le dissi che non ricordavo il volto di mia madre. Ogni tanto lo dicevo a qualche ragazza. Chissà cosa le dissi. Magari tentai anche di baciarla.
Alla fine le cose andavano un pochino meglio. Salii con lei a piedi sino in paese al buio. La notte era calda e stellata. Ogni tanto mi guardava negli occhi e mi pareva che io suoi occhi, mentre mi guardavano, fossero felici. Ci fermammo in piazza. Il campanile suonò quattro rintocchi.
Imboccammo una stradina. Non era quella che portava in albergo. Mi fece salire in casa sua. Mi mostrò la camera da letto. Era una regina.
Quando aprii gli occhi mi domandai dove fossi. Ci volle qualche istante prima che lo capissi. Ricordavo ben poco della notte precedente. C’era la porta della stanza aperta e sentivo qualcuno dall’altra parte. Mi ricordai della ragazza e non volli restare ancora a letto. Volevo scusarmi per come mi ero comportato.
Lei era in cucina. «Sei sveglio: è suonato un po’ di volte il tuo telefono.»
«Non ho ancora guardato: mi sono comportato male?»
«Sei stato bravissimo.»
«Non ho fatto lo scemo?»
«Per niente. Vuoi del caffè?»
Le dissi di sì.
Poi tornai in camera a prendere il telefono. C’erano diverse chiamate perse: mi aveva cercato Dario e mi aveva cercato altra gente. C’erano dei messaggi in segreteria, ma non li ascoltai. Avevo dormito come un masso.
Mi vestii e tornai da lei. La ragazza versò del caffè in una tazzina. Se volevo c’era della crostata, oppure dei biscotti. Non aveva pane purtroppo. La casa veniva usato soltanto nel periodo estivo e quando era sola mancava sempre tutto.
Le dissi che a me non aveva fatto mancare nulla.
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"Grazie per la lettura"
Il male tra gli ontani in vetrina (tutti i capitoli pubblicati)
Ormai aspetto con ansia, ogni nuovo capitolo. anche se a volte mi fai aspettare
RispondiEliminaGrazie per l'attenzione Ernesto
EliminaCiao Ferruccio, a parte la storia che è avvincente, sta venendo fuori un personaggio bellissimo, complicato, e anche incasinato. Ci sono dei passaggi molto belli. Ancora complimenti, e buona giornata!
RispondiEliminaGrazie a te, Anna
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RispondiEliminaCredo che ogni lettore cerchi in questo racconto una parte di legame con se stesso,magari quella che teme di più come la "paura" verso i serpenti,o la "forza" di cui Manuel possiede,o la "solutudine" che attraversa lo stesso Manuel ,oppure "l'amore" che non può non appartenerci...perché è insito in chi scrive il racconto e in chi lo legge!
Un "dialogo " personale tra scrittura e lettura questo infonde un buon racconto!
L.
Ti ringrazio Linda. Per me ci sono molte chiavi di lettura in questo romanzo, alcuni passaggi, dopo averli scritti, mi hanno portato a fare riflessioni profonde. Forse è questo il vero motivo che mi spinge a scrivere.
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