----- Tredicesimo Capitolo -----
Mi svegliai all’alba. Nella stanza c’era un po' di luce e avevo caldo avvolto nel sacco a pelo. Dario russava nella brandina di sopra. Uscii dal sacco, ma non mi alzai, mi allungai sul materasso e lasciai cadere una gamba nuda fuori dal letto a castello. Sentii il fresco del mattino salirmi dai piedi sino alla schiena.
Restai così a riflettere un poco. Il piede ferito, durante la notte, non mi aveva creato grattacapi. Forse sarei riuscito a mettermi le scarpe e più tardi sarei andato con Dario a fare una verifica dei filmini realizzati con le videocamere. Ero curioso di capire cosa stesse accedendo. O forse volevo soltanto passare dalle ragazze e vedere se stavano bene. Le avevo viste spaventate. Mi erano parse un po’ come i bambini che visitavano i miei stand durante le fiere. Ci avrei sorriso se la vicenda non fosse stata seria. O forse ero soltanto curioso di sapere cosa stessero facendo ora.
Ero sicuro delle ragioni di Dario. Non si sbagliava. Dopo quello che avevo visto nel pomeriggio ne ero convinto anch’io. Ora speravo che le videocamere ci fornissero qualche risposta. Una volta trovata la soluzione sarei tornato a Treviso. Speravo molto in fretta. Magari potevo andare qualche giorno al mare. Da Treviso ci mettevo soltanto un’ora. Pensando alla spiaggia di Jesolo, mi addormentai di nuovo.
Quando mi svegliai la seconda volta Dario era in piedi. Aveva aperto la porta della baita e sentivo il profumo della miscela di caffè. Stava preparando la moka per la colazione. Mi guardò appena mi mossi sulla brandina.
«Volevo svegliarti» disse.
Scesi dalla brandina e indossai i calzoni. Tornai a sedermi sul letto. Il piede non mi faceva male e strappai il cerotto che cingeva la garza per controllare in che stato fosse. Srotolai la garza piano cercando di non farla cadere a terra. Non volevo si sporcasse finendo sul pavimento. Chinai il capo e controllai la pianta del piede. Non mi sbagliavo: la ferita era del tutto rimarginata.
«Fa male?» chiese Dario.
«Per niente, non mi ha creato nessun fastidio. Metto un cerotto e poi provo a mettermi le calze e le scarpe. Dovrei farcela.»
«Le scarpe sono fuori sugli scalini… Cosa vuoi per colazione?»
«Quello che c’è.»
Andai fuori. Incerottai di nuovo il piede, poi misi le calze e le scarpe e provai a fare qualche passo su e giù tra gli scalini. Zoppicavo un poco, ma solo perché temevo di sentire dolori e controllavo mentalmente l'appoggio del piede a terra.
«Fa male?»
«No.»
Misi la garza sporca in un sacchetto di plastica con il resto dell’immondizia, poi presi il sapone e un asciugamano e andai alla fonte a lavarmi, passando per le baite interne del maggengo.
Faceva fresco ora. Il sole era nascosto dalle montagne. Vidi delle persone con delle gerle nei prati oltre la mulattiera. Mi guardarono passare e mi salutarono con un cenno del capo. Al pozzo c’era un abbeveratoio per le bestie e una vasca in pietra sulla sinistra come lavanderia. Mi lavai affondando le mani nell’acqua corrente. L’acqua era fredda sul collo e sul viso e sulle spalle. La sentii scendermi lungo la schiena e sul torace. Fu un brivido ma servì a destarmi.
Quando tornai alla baita feci colazione e più tardi andammo verso il torrente. Speravo di vedere le ragazze ma quando passammo vicino alla radura dove erano accampate non notammo nessuno. La luce del sole era coperta da un promontorio e per qualche ora la zona sarebbe rimasta ancora all’ombra. Pensai che le ragazze stessero ancora dormendo.
Ci fermammo a prendere la prima videocamera poco più avanti. Era camuffata e orientata in modo che potesse riprendere quella che pareva essere un’ottima zona di termoregolazione per dei serpenti. Dario verificò la registrazione. C’erano un paio di ore di filmato da studiare.
«Vuoi dargli un’occhiata subito?» chiese.
Sorrisi. «Prendiamo le altre, ma ho dei dubbi sul fatto di trovare qualcosa» dissi.
Anche le altre due videocamere erano rimaste attive e nessuno e niente le aveva toccate. Dario le aveva nascoste e sistemate in modo eccellente. Tolse le cassette, cambiò le batterie e piazzò di nuovo i dispositivi nella stessa posizione. Avrebbero fatto un’altra registrazione nel corso della giornata.
Mentre Dario si dava da fare con le videocamere volli curiosare attorno al punto dove il giorno prima avevo notato i serpenti. Questa volta non mi tolsi le scarpe. Guadai il ruscello risalendo un pochino l’argine finché trovai un passaggio tra le pietre. Vidi un paio di lucertole e trovai la carogna di un passero, ma anche stavolta i serpenti non si fecero vedere.
A mezzogiorno tornammo al maggengo e trovammo un giovane manovale ad attenderci. Era un ragazzo del posto: un amico del giovanotto conosciuto all’albergo la sera del mio arrivo. Dario lo conosceva. Stava lavorando con altri muratori alla ristrutturazione di un casolare lì vicino.
«Ti stavo cercando» disse a Dario.
«Che succede?»
«Guarda» disse. Gli mise davanti agli occhi il telefono cellulare. «Non sono un esperto ma un serpente del genere sono sicuro di non averlo mai visto in vita mia e le vipere le so riconoscere. Mi ha morso. So che ti trovavi qui e ho pensato di dirtelo.» Sorrise. «Così mi dici cosa fare.»
Dario osservò la foto corrugando gli occhi. «No, non è una vipera. Ti ha morso?»
«Sì, che serpente è?» chiese il ragazzo.
«Manuel» disse Dario.
Mi mostrò l’immagine sul cellulare. Non si capiva molto, ma si intuiva che non era un serpente tipico della zone. Il colore non era quello di un colubride e la forma non era quella tozza di una vipera.
«Dove lo hai fotografato?» chiese Dario al ragazzo.
«Appena qui sotto» disse il ragazzo. Indicò un pianoro tra gli ontani qualche avvallamento più in basso sul costone. «Me lo sono trovato davanti all’improvviso. Gli ho scattato una foto perché non ne avevo mai visto uno di simile. Quando ho cercato di avvicinarmi si è alzato a esse ed ha aperto la bocca. Poi è partito e mi ha morso sulla gamba.»
«Quanto tempo fa?» domandai.
«Venti minuti. Non mi ha fatto male. Mi ha fatto ridere. Mi ha morso due volte e poi si è ritirato.»
Mi abbassai e diedi un’occhiata alla gamba con attenzione. C’erano i segni del morso ma non ne avevo mai visti di questo tipo. Non c’erano arrossamenti e neppure tumefazioni sull’arto.
«Stai bene?» gli chiesi.
«Sì, mi sento benissimo.»
«Io ti manderei al pronto soccorso.»
«Ma sto benissimo. Ve l’ho detto... so che Paolo cercava vipere e so che c’è qualche faccenda strana attorno ai serpenti e non avendo mai visto un rettile come questo, pensavo di esservi utile, ma è come se mi abbia morso una lucertola. Davvero non sento nulla.»
Non ero per nulla tranquillo. Al ragazzo non importava assolutamente nulla di quello che gli era successo. Era robusto e abbronzato e sicuramente era in forze e in salute. Non sembrava che fosse sotto l’effetto di un avvelenamento. Sapevo però che l’azione tossica dei veleni era diversa anche tra serpenti della stessa specie. Magari era stato un colubro innocuo. Magari era un morso secco, ma insistei perché facesse dei controlli specifici.
«Quanto tempo occorre per arrivare alla strada dove abbiano lasciato l’auto?» domandai a Dario.
«Venti minuti» rispose.
«Meglio partire subito.»
«Calma, calma» disse il ragazzo. «Io sono in pausa, ma tra poco devo riprendere a lavorare.»
«Credo sia meglio non scherzare. Andiamo al pronto soccorso più vicino.»
«Non ho nulla!»
Gli consigliai di sedersi e di mettersi tranquillo. Non era il caso di correre rischi inutili. In Africa c’era un colubride la cui azione tossica del veleno si presentava anche dodici ore dopo un morso. Difficilmente mordeva gli esseri umani ma quando un suo attacco veniva sottovalutato l’esito era spesso fatale. Ora non è che avevamo un caso simile di fronte, ma anche il morso di un biacco poteva essere fonte di infezioni.
Non lo so. Forse fu quando parlai di infezioni che il ragazzo sbiancò ed ebbe un capogiro. Si appoggiò con la mano sinistra al muro esterno della baita per mantenersi in equilibrio e mi guardò perplesso.
«Tranquillo» dissi.
Il ragazzo non disse nulla. In un attimo il suo viso sembrò diventare quello di un morto. Era evidente che stesse provando e sperimentando delle brutte sensazioni dovute ai sintomi dell’avvelenamento. Cominciò ad ansimare.
Gli consigliai di sdraiarsi e di non preoccuparsi. Non doveva avere paura. C’ero io. C’era Dario. Sapevamo cosa fare.
Lui sorrise ma aveva perso la baldanza. Lo aiutai e lo sorressi nel tempo che ci volle per condurlo sino al prato di fronte alla baita. Pensai che fosse il caso di fasciare la gamba e dissi a Dario di recuperare delle bende e qualcosa per fare delle stecche. Feci sdraiare il ragazzo sull’erba sotto un frassino all’ombra. Gli tastai il polso e contai i battiti ed erano quasi normali. Intanto capii che non saremmo riusciti a scendere a piedi sino a valle con lui sulle spalle. Ma non sapevo cosa stesse accadendo con la giusta freddezza e lucidità. Forse era necessario un elicottero del pronto soccorso.
Dario annuì, si postò qualche metro sopra la baita e mi tranquillizzai quando lo vidi parlare con qualcuno al cellulare.
«Ho detto di fare in fretta, gli ho spiegato dove siamo. C’è una persona morsa da un serpente velenoso.»
«Hai fatto bene.»
Prima dell’elicottero con i soccorsi, arrivarono dal basso i colleghi del ragazzo. Erano due vecchi muratori del posto. Si stavano chiedendo come mai il manovale non era tornato al lavoro. Uno dei due era il capomastro. Guardò il ragazzo ma non seppe dire nulla. L'altro muratore rimase terrorizzato quando lo vide in quelle condizioni, sdraiato, pallido in viso e senza fiato. Il bendaggio però stava dando dei risultati positivi e il ragazzo restò sempre cosciente e vigile. Suggerii ai due uomini di tenerlo sveglio ma temevo che l’elicottero ci mettesse troppo tempo e che la situazione potesse precipitare da un momento all’altro.
Benché vivessi e lavorassi con i rettili, non avevo mai visto nessuno, oltre al sottoscritto, realmente vittima del morso di un serpente. Era la prima volta che mi trovavo ad affrontare una simile situazione. Dissi al ragazzo che si sarebbe fatto una settimana di vacanza nella stanza di un ospedale. Lui sorrise, poi mi disse grazie. Gli dissi che non doveva ringraziarmi. Poi imprecai dentro di me perché non arrivava l’elicottero.
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"Grazie per la lettura"
Il male tra gli ontani in vetrina (tutti i capitoli pubblicati)
Mi piacciono i tuoi romanzi a puntate, ma adesso vorrei andare avanti, vedere cosa succede!!Ciao Ferruccio buona giorntata!
RispondiEliminaMartedì, la prossima puntata!
EliminaGrazie Anna
Leggo che sta iniziando il periodo complicato del tuo romanzo. La mia curiosità sta aumentando, diventa sempre più avvicente. Complimenti davvero. Abbraccio
RispondiEliminaGrazie Anna di Maria
EliminaLa curiosità aumenta...
RispondiEliminaMartedì!
EliminaGrazie Ernesto
Mi tranquillizzo pensando che sto leggendo un racconto...ma poi penso che questo racconto spesso è reale e non vi sono accanto altri Dario e Manuel...
RispondiEliminaHai lasciato noi lettori sul più bello,è impossibile non leggere la prossima puntata:-)
L.
Martedì, Linda, martedì: è già in programma il post
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