----- Sedicesimo Capitolo -----
Non partecipai alla processione del Corpus Domini in programma quella domenica. Prima che iniziasse la funzione religiosa percorsi a piedi, con Dario e Loredana, l’intero tragitto come un semplice curioso.
Il centro del paese era addobbato con lenzuola ricamate, damascati, pizzi, drappi e icone sacre. C’era tutta la popolazione coinvolta e le finestre delle case erano ornate da vasi di fiori, rami di larice profumati e altre composizioni floreali. La folla bloccava i vicoli e non potevi sostare sul percorso, perciò andammo ad aspettare la conclusione della cerimonia sulla piazza del Sagrato.
Fu un momento suggestivo e intenso. Il corteo arrivò sfilando lento e compatto sulla destra della chiesa. Davanti c’era la banda musicale e precedeva le varie autorità civili con gli stendardi, di seguito toccò alla popolazione. Dopo i bambini, fu la volta dei membri delle varie confraternite alle quali seguirono i dignitari religiosi in pompa magna con le reliquie del Santo Patrono, poi le donne, pie e silenziose con addosso il costume tradizionale e il capo coperto da un foulard bianco. Fu come un’onda di marea che sfociava sulla piazza. Al termine, il Vicario Episcopale, venuto da Lecco, diede la benedizione solenne dall’altare posto sul Sagrato davanti all’entrata principale della chiesa. La piazza era piena di gente e la funzione terminò con un canto religioso. Poi la festa assunse una connotazione più laica.
Andammo a prendere un aperitivo sul terrazzo di un bar situato sul viale principale del paese. Loredana mi presentò alcune ragazze e altra gente. Pronunciò più volte il nome delle ragazze. Forse voleva davvero che trovassi una moglie. Sedemmo sotto un ombrellone. Mentre stavo lì, riconobbi la ragazza di Lecco seduta a un altro tavolo sul terrazzo. Si accorse di me e mi fece un cenno di saluto, ma distolse immediatamente lo sguardo. Vidi che scherzava e civettava con altri ragazzi e ne fui quasi deluso. Avevo pensato che sarebbe stato bello rivederla e stupidamente avevo pensato che lo sarebbe stato anche per lei. Chissà cosa mi ero aspettato. Forse mi aspettavo un abbraccio o anche solo una semplice parola. Non lo so.
Non mi aspettavo neanche che una telefonata potesse cambiare la giornata: quella che Dario ricevette poco dopo. Lo avevo di fronte al tavolo. Vidi che cambiò espressione sul viso. Lo vidi annuire con un cenno del capo. Non capivo cosa si dicevano. Era preoccupato. Poi mi accorsi che cercava il mio sguardo. Mi fissò e per qualche istante mi parve che i suoi occhi implorassero. Tornò a mugugnare qualcosa al cellulare, finché se lo mise in tasca. Si alzò, girò attorno al tavolo e si avvicinò. Si abbassò appoggiando una mano sulla mia spalla sinistra. Voltai un poco la testa.
«Era l’Ospedale di Como» sussurrò.
«L’Ospedale di Como?»
«Il ragazzo è morto.»
«Morto?»
«Emorragia cerebrale: un’ora fa!»
Imprecai.
«Che morisse non me l’aspettavo. Pensavo ce la facesse. Ieri stava bene» disse Dario.
Non sapevo cosa dire. Mi domandai quale serpente potesse essere responsabile. Avevo visto il ragazzo davanti ai miei occhi mentre faceva fondo a tutto il suo coraggio. Provai una sensazione di profondo disagio e disgusto. Non doveva morire. Gli avevo detto che non gli sarebbe accaduto nulla di grave. Gli avevo detto tante cose soltanto pochi giorni prima. Adesso era morto. I morti che hai conosciuto non sono come i morti che leggi su un giornale e vedi in televisione.
Provai a pensare ai suoi colleghi di lavoro. Forse lo stavano piangendo. Sarebbe stato naturale e umano piangere. Magari aveva una ragazza, provai a pensare a lei che piangeva e che si disperava. Pensai ai suoi genitori e pensai a quello che stavano vivendo e provando e soffrendo in questo momento e pensai che doveva essere davvero terribile.
Mi chiesi se avevamo fatto tutto il possibile per salvarlo.
«Che facciamo ora?» domandò Dario.
«Non dobbiamo scoraggiarci per prima cosa» dissi.
Dario scosse il capo perplesso. «Forse dovrei mettere dei cartelli nel parco, o forse dovrei proibire alla gente di passare da quelle parti, finché non troviamo una soluzione.»
Parlavamo sottovoce.
«Già» convenni.
Arrivò la cameriera con un vassoio. Smettemmo di parlare. La ragazza posò una ad una le consumazioni sul tavolo chiedendo ogni volta di chi fossero. Rimase lì in attesa, con le mani sui fianchi, che qualcuno la pagasse. Feci per estrarre il portafoglio ma Dario mi anticipò.
«Non posso restarne fuori» disse appena la ragazza lasciò la terrazza.
«Cosa vuoi fare?»
«Torniamo a dare un’occhiata al parco»
«Non abbiamo ancora visionato i filmati!»
«Temo che non troveremo nulla sui filmati. Dobbiamo battere la zona metro per metro.»
«Quando vuoi andare?»
«Adesso!»
«Adesso… adesso? »
«Credo sia la cosa migliore da fare Manuel.»
So che aveva ragione.
Dario avvertì qualcuno presso la stazione del comando di Lecco. Poi chiamò il comandante dei carabinieri nel paese vicino. Gli raccontò cosa era successo. Gli disse del ragazzo morto e della situazione presente nel parco. Concordarono di trovarsi in quello stesso pomeriggio sull’areale dove era stato attaccato il ragazzo. A me non mi permise neppure di finire la consumazione. Era preoccupato, spiegò a Loredana cosa stava accadendo, poi salutammo le altre ragazze e l’altra gente al nostro tavolo e ci alzammo per lasciare il bar.
Mentre scendevamo i due scalini che dal terrazzo davano sullo stradone fui raggiunto dalla ragazza di Lecco.
«Stai andando via?» chiese.
La guardai. Era molto graziosa. La prima volta che l’avevo vista mi era sembrata bella, la seconda volta l’avevo trovata bella e ora ero sicuro e certo di quanto fosse bella.
«Dobbiamo tornare al lavoro» le dissi.
«Anche oggi?»
«Anche oggi!»
Dario era in mezzo alla strada. Capivo che era inquieto e quasi mi spiaceva che stessi facendo progressi con la ragazza in una giornata simile.
«Guarito il piede?»
Ora le risposi di sì e forse avrei voluto dirle dell'altro o avrei soltanto voluto spiegarle nei dettagli il perché della nostra fretta o forse era lei che voleva dire altro, non lo so. Mi limitai a dirle che se fosse rimasta in paese ci saremmo visti nei giorni seguenti. Le lasciai uno dei miei biglietti da visita senza pensare che avrebbe potuto stracciarlo.
Era lei a sentirsi delusa adesso. Così mi parve. Facevo più progressi e mi spiaceva che tutti questi progressi fossero evidenti in una giornata tragica.
Dieci minuti dopo eravamo pronti per tornare all’areale. Una volta giunti al maggengo ci dividemmo il territorio per esaminare in maniera accurata la zona. Mi toccò il tratto di areale appena sopra il torrente. Dario invece puntò in prevalenza sul territorio dove era solita termoregolarsi una vipera da lui censita.
Passai le ore seguenti del pomeriggio a perlustrare l’area sotto il sole. Setacciai, in lungo e in largo, il terreno con il maggior scrupolo possibile. Ce la misi tutta. Neanche in Africa con i geni della televisione avevo lavorato così duramente. Non ebbi fortuna. A un certo punto, mi parve di vedere qualcosa di strano muoversi tre l’erba e mi precipitai verso alcuni tronchi, rischiando molto più di una semplice ferita a un piede, ma scoprii che si trattava solo di un riflesso del sole. No, non c’erano serpenti in giro e se c’erano, da me, quella domenica pomeriggio non si sarebbero mai fatti trovare.
Un lavoro inutile dunque e alla fine fu una vera delusione. Una delusione per entrambi poiché pure Dario non aveva ottenuto risultati. Lui però non voleva rassegnarsi. Capivo che avrebbe dato l’anima al diavolo per scovare.
«Qui sta succedendo qualcosa.»
«È una domanda o un’affermazione?»
La sua esperienza e la conoscenza della zona gli suggerivano che c’era qualcosa di oscuro e inquietante tra gli ontani. «Manuel, devo scoprire cosa succede a costo di trascorrere qui tutta la notte ad andare avanti e indietro.»
Sapevo che l’avrebbe fatto. Ero certo che non l’avrei distolto da ciò che aveva in mente. Non me la sentii di contraddirlo. Era ammirevole e caparbio. Potei solo convincerlo a riposarsi qualche minuto.
Ci postammo sulla morena del torrente vicino all’acqua. Avevamo saltato il pasto e ci sedemmo sulle pietre al sole.
Stavamo mangiando, uno di fronte all’altro, senza parlare, con il rumore dell’acqua sottofondo, quando scorsi lungo il corso del torrente delle persone in fila indiana. Salivano da noi. Dario gli dava le spalle. Mi guardava mangiare e non poteva vederle. Non immaginavo chi fossero e cosa volessero e non gli dissi niente, li guardavo salire lenti e con cautela tra i massi del torrente. Quando furono a cinquanta metri urlarono qualcosa.
Dario si voltò, li osservò fare qualche passo e mi guardò.
Riconobbi le divise. «Sono i tuoi colleghi?» domandai.
«Sono loro!»
Il rumore del torrente impediva di sentire cosa dicevano. Erano ancora troppo distanti. Dario si alzò. Aveva un panino con del formaggio in una mano.
I tre uomini continuarono a salire. Gli studiai mentre si avvicinavano. Uno di loro sembrava piuttosto giovane, gli altri due invece erano sulla cinquantina.
Il carabiniere aveva i gradi di maresciallo e precedeva gli altri di qualche metro. Era un uomo tozzo dalla carnagione chiara e le spalle grosse. Superò gli ultimi massi che ci separavano.
Dario allungò la mano libera per aiutarlo. L’uomo sorrise ma fu un pochino riluttante a farsi aiutare. Portava dei baffi rossi ed era rasato a zero. Probabilmente non era abituato a risalire torrenti in una giornata calda e afosa con la giberna e una fondina con dentro una rivoltella. Aveva la camicia azzurra aperta e il berretto a visiera rigido in mano.
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"Grazie per la lettura"
Il male tra gli ontani in vetrina (tutti i capitoli pubblicati)
Tu sei puntuale con le pubblicazioni e io sono puntuale a leggere
RispondiEliminaCome vorrei vederlo su carta!
Grazie Ernesto, un passo alla volta
EliminaSperiamo davvero di vederlo presto sulla carta! Ultimamente, sto leggendo solo dei brutti libri, che non riesco a finire! Prima attendevo il Giovedì per leggere di Mic, adesso l'erpetologo. Meno male che ci sei Ferruccio! Buona giornata
RispondiEliminaTroppo buona Anna, grazie
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