----- Diciottesimo Capitolo -----
Il mattino dopo pioveva. Guardando la valle fuori dalla finestra della stanza d’albergo c’era la bruma che correva e la pioggia scendeva fitta e continua di traverso sul davanzale bagnando le imposte. Piovve per quattro giorni di fila. Ogni tanto schiariva e usciva il sole ma subito dopo tornava la pioggia insistente e faceva fresco e la nebbia copriva la valle e tutto intorno sembrava novembre.
Dopo colazione mi feci prestare un ombrello dalla signora e salii a piedi sino a casa di Dario. Salutai Loredana e parlai un poco con lei del tempo e di quanto fosse stato terribile l’accaduto nei giorni precedenti e di come fosse stata banalizzata la notizia sui giornali locali. Poi nello studio da basso in taverna esaminai i filmati che avevamo scaricato sul computer, mentre Dario si occupò delle pratiche e dell’iter burocratico da seguire per poter mettere le mani sui risultati dell’autopsia. Ci fu fissato un appuntamento con il medico legale alle undici del mattino di mercoledì.
Andammo a Como sotto un acquazzone. Con noi viaggiò anche il maresciallo dei carabinieri. Passammo a prenderlo in caserma con l’auto del Corpo forestale che Dario utilizzava. Per strada grandinò e i lampi erano scie elettriche tra le nubi nere sopra Milano e là in fondo dove c’era la pianura. Una volta in ospedale fummo accompagnati in una saletta al primo piano. Un’infermiera ci offrì dell’acqua e ci portò dei caffè.
Aspettammo pochi minuti ancora.
«Il decesso è stato causato da un’emorragia cerebrale» disse il medico legale, dopo i soliti convenevoli di presentazione. «Ma risalire a quale sia esattamente il tipo di serpente che l’ha provocata non è possibile al momento. Mi spiace!»
«Sì, senza serpente, credo sia assolutamente impossibile» ammisi.
«Non è stata una vipera, su questo però sono sicuro» disse il medico.
«Dobbiamo trovare il serpente, noi sospettiamo si tratti di un elapide» disse Dario.
«Elapide?»
«Cobra, Mamba…»
«Accidenti, dite sul serio?»
«Siamo quasi sicuri!»
«Com’è possibile?»
«Non sarebbe la prima volta che fatti del genere accadono. Credo sia più che possibile, per questo speravamo di avere delle risposte dall’autopsia» disse Dario.
«Accidenti! Manderò in giro i risultati degli esami svolti sulla salma» disse il medico. «Magari si scoprono informazioni che al momento sfuggono. »
«Se vuole la posso mettere in contatto con dei responsabili del centro antiveleni di Milano» suggerii.
«Conosce qualcuno?» chiese il medico, parve impressionato.
Gli dissi il nome di un responsabile del Centro. Lo conoscevo da parecchio. Ero ricorso al suo aiuto in varie occasioni: mi era sempre stato di supporto. Una volta lo avevo invitato a Treviso a visitare il mio rettilario.
Il medico prese una penna e scrisse il nome in stampatello su un notes che teneva in un angolo della scrivania. Poi volle sapere un’altra volta anche il mio, di nome.
«Manuel, Manuel Cattelan» dissi e levai un biglietto da visita dal portafoglio. Glielo diedi.
«Mi attiverò al più presto. Grazie!»
«Prego!»
«Ci faccia sapere al più presto Dottore» disse il maresciallo.
«Farò tutto il possibile. Arrivederci!»
«Arrivederci» dissi io.
Anche il funerale del ragazzo si tenne sotto la pioggia. La funzione funebre si svolse il giovedì pomeriggio. C’era tutto il paese presente e la bara con il ragazzo fu portata a spalla al cimitero dai suoi coscritti. Il corteo funebre sfilò recitando nenie tra le strade e i vicoli del paese con un ordine ben preciso e definito.
Dietro la bara riconobbi i genitori del ragazzo e, dopo la fila di parenti, vidi alcune donne che piangevano e ne notai una che sembrava disperata e un poco ingenuamente pensai che doveva essere la sua fidanzata o semplicemente qualcosa di più di una semplice amica. Qualcuno ci osservò con freddezza e avversione e mi ricordai di ciò che mi aveva detto Dario sul fatto che il parco fosse malvisto.
Tra la gente in processione cercai la ragazza di Lecco. Avevo ancora il suo fazzoletto. Non mi aveva telefonato. Non riconobbi neppure la ragazza che era stata con lei al parco. L’avrei chiamata io se avessi avuto il suo numero di cellulare.
Invece di rendermi davvero conto che mi trovavo a un funerale riflettevo su come contattare una ragazza per uscire con lei in un posto in cui ero estraneo e mi sentii terribilmente cinico e stupido e fatuo, ma di fronte alla morte, se non è la propria o quella di qualcuno che sentiamo profondamente vicino, si è sempre in bilico tra il coraggio e l’indifferenza. Per questo tendiamo sempre a essere ricettivi e solidali quando qualcuno ci lascia, ma lo facciamo soltanto perché non vogliamo far capire ciò che sentiamo davvero.
Il cimitero era pieno di gente e il prete esaltò il ragazzo e chiese di pregare per lui e per i suoi genitori e per tutti quelli che lo stavano piangendo e disse che non era una perdita e dove si trovava adesso il ragazzo era in pace e non stava soffrendo e non avrebbe voluto che noi soffrissimo per lui. Fu sepolto con della terra umida bagnata dalla pioggia e da mazzi di fiori che in poco tempo sarebbero morti come lui.
Poco dopo salendo dal viottolo che dal camposanto conduceva in paese fummo fermati dal giornalista che aveva scritto l’articolo uscito lunedì. Da Dario avevo saputo che ci dava la caccia per uno scoop dal pomeriggio in cui avevamo richiesto l’intervento dell’elisoccorso.
Il giornalista si occupava della cronaca locale e scriveva per un piccolo quotidiano della provincia. Sul giornale aveva scritto che la morte del ragazzo era da addebitare al morso di una vipera.
Chiese a Dario ragguagli.
«Forse è meglio non parlarne per strada» rispose lui.
Ci trovammo poco dopo in un bar vicino alla piazza. Ci sedemmo in una saletta interna. Fuori continuava a piovere. C’era in atto un blackout elettrico dovuto al maltempo e l’interno era nella penombra e la signorina al banco aveva acceso delle candele che facevano apparire il locale un loculo del camposanto.
«Non c’è molto da dire» disse Dario. «Non sappiamo di che serpente si tratti. Ieri eravamo a Como a studiare i dati dell’autopsia e anche in questo caso non abbiamo risolto nulla.»
«Non capisco cosa volete dire» disse il giornalista.
«Non doveva scrivere che si trattava di una Vipera» dissi.
«Non si tratta di una Vipera?»
«Non sappiamo nulla, ma di certo non si tratta di una vipera. C’è il rischio di banalizzare la situazione» disse Dario.
La faccia del giornalista cambiò. «Be’ noi giornalisti abbiamo il dovere di raccontare quello che succede. Quei sentieri e quelle mulattiere sono frequentate anche da bambini. La popolazione ha il diritto di sapere cosa succede.»
Mi chiedevo perché lo ascoltavo. Negli ultimi tempi avevo avuto delle brutte avventure con i giornalisti. Ora mentre parlava e usava la retorica per far sapere quanto fosse attento e pignolo e preciso nel redigere i suoi articoli e di quanta professionalità ci mettesse nel suo lavoro, pensavo alla situazione che avevo vissuto pochi mesi prima in Africa.
Forse i giornalisti non erano tutti uguali. Forse alcuni erano davvero bravi ed eticamente interessati alla verità. Magari questo piccolo giornalista locale era più grande e sano e intellettualmente onesto rispetto a un grande giornalista prostituito e ruffiano che mi doveva dei soldi. Non dovevo lasciarmi coinvolgere e non dovevo farmi stizzire. Lo sapevo.
Per fortuna Dario lo capì. Mi quietò mettendo la mano sul mio braccio sinistro.
«A dire il vero io volevo far mettere dei cartelli, ma per il momento non posso ancora farlo. Ho intenzione di parlare con il sindaco e l’amministrazione, ma non abbiamo fatti documentati, solo supposizioni per procedere» disse.
«Sì, ma perché avrei banalizzato?» domandò il giornalista.
«Le posso fare una confidenza?» chiese Dario.
«Certo!»
«Mi promette che non scriverà nulla di quello che le dirò, sino a quando non le avrò passato dei dati certi?»
«Glielo prometto!»
«Io non mi fiderei» dissi.
Il giornalista mi guardò.
Dario sorrise. «Dai!»
«Mi dica» disse il giornalista.
«Abbiamo il timore che in zona sia presente un serpente esotico velenoso, per questo vorremmo che non si raccontino storie non corrispondenti alla realtà. Sentivo di ragazzi che volevano andare nel parco a uccidere la vipera responsabile» disse Dario. «Si rende conto di cosa potrebbe accadere se dovessero trovarsi di fronte a un altro tipo di rettile?»
«Cosa dovrei fare?» chiese il giornalista.
«Niente» disse Dario. «C’è il rischio di accendere gli animi inutilmente parlando di vipere e del rischio di un loro morso.»
«Io non ho problemi a starmene zitto per un po’ di tempo, ma sa benissimo che polverone potrebbe saltare fuori.»
«Se è per questo io potrei rischiare addirittura il posto di lavoro. Appena sappiamo qualcosa di preciso vengo a cercarla e sarà tra i primi ad avere notizie.»
Ecco, mi ero stufato di sentire la voce del giornalista e approfittai del fatto che l’energia nel bar fosse tornata per fare un salto nella toilette. Non avevo voglia di sentire altre storie. Non ne avevo bisogno. Conoscevo quel tipo di persone e sapevo che non le sopportavo. Conoscevo bene il malessere che mi suscitavano a volte quando li ascoltavo troppo. O forse era un altro tipo di malessere che mi sentivo addosso.
Salii la scala a chiocciola e andai di sopra e mi chiusi in bagno.
Non so quanto restai lì dentro. Forse furono solo un paio di minuti, o forse fu un’eternità. Mi guardai allo specchio. Avevo una faccia schifosa. Era una giornata schifosa e pure il tempo era schifoso. Non volevo finire nel considerare che da basso c’era una persona schifosa seduta al mio stesso tavolo. Mi tolsi le scarpe e mi massaggiai la pianta del piede. I piedi avevano un odore schifoso. Non avevo più avuto problemi alla ferita ma una giornata schifosa come questa avrebbe potuto dare effetti ancora più schifosi e riaprire un taglio schifoso. Quando ritornai da basso Dario era da solo e mi sentii sollevato e avevo smesso di sentirmi una persona schifosa.
«I giornalisti non li reggi proprio» disse Dario.
«Vorrei vederti al mio posto. Ho smesso di dormire bene da quando quel tizio mi ha scatenato addosso gli avvocati.»
«A proposito, tutti questi eventi mi hanno fatto agire in maniera egoistica: hai bisogno di qualcosa?»
«Sei pazzo?»
«Sei sicuro?» chiese Dario.
«Sono sicuro» risposi.
«Sicuro, sicuro.»
In realtà alcune cose da sistemare a Treviso le avevo. Da mesi non vedevo il commercialista e sapevo che era vicino il momento per il versamento delle tasse. Non potevo delegare il mio collega per questi aspetti di carattere fiscale. Magari avevo ricevuto altre cose da pagare.
Lo dissi a Dario.
Trovavo sempre delle bollette o altre sciocchezze da pagare tutte le volte che tornavo a casa. Magari il commercialista aveva bisogno di spiegarmi il motivo per cui ero a credito e non dovevo versare tasse. Mi sarebbe piaciuto, ma ogni anno dovevo pagare. Il mio collega non mi aveva segnalato nulla di importante ma certe cose mica le guardava.
Dissi a Dario anche questo.
Non dovevo preoccuparmi. Un paio di giorni non sarebbero stati niente. Avrebbe pensato lui a piazzare le videocamere per dei nuovi monitoraggi nel parco. Mi avrebbe portato alla stazione dei treni più vicina appena lo avessi voluto. Anche adesso. Non dovevo che chiedere.
C’era dell’altro?
Volevo vedere la mia vipera del Gabon e chiederle come stava. Volevo vedere la mia vipera della sabbia e la stessa vipera rostrata. Volevo vedere le mie aspidi e i miei saettoni. Volevo giocare con i miei biacchi. Volevo vederli strisciare nel mio rettilario senza che nessuno li considerasse il male.
Questo non glielo dissi.
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"Grazie per la lettura"
Il male tra gli ontani in vetrina (tutti i capitoli pubblicati)
Per me questo è il lavoro di un grande scrittore
RispondiEliminaTroppo buono Ernesto, grazie
EliminaPer niente, buono: è un'ottima storia scritta molto bene!
EliminaConcordo con Ernesto, questo capitolo poi..si crea una grande empatia con l'erpetologo, verrebbe da consolarlo. Bravo Ferruccio, e buona giornata!
RispondiEliminaAnche tu Anna ti ringrazio,
Eliminasei troppo buona
Siete troppo buoni
"Riconcordo" con Ernesto, non siamo troppo buoni, è che questa è una bella storia, scritta bene,e coinvolgente!
RispondiEliminaBe' non posso che ringraziare e cercare di fare ancora meglio anna
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