mercoledì 17 luglio 2019

Il terzo capitolo de' Il male tra gli ontani

Non ho molti commenti sotto i post, ma c'è diversa gente che mi ha contattato in chat o addirittura mi ha scritto per email pregandomi di continuare. Così oggi metto il terzo capitolo de' il male degli ontani. I capitoli sono lunghi e occorre pazienza. Sono convinto che apprezzerete la storia in cui poco alla volta vi troverete immersi e non è escluso che posti altri capitoli in settimana. Potete ripartire dal Primo capitolo, per poi passare al Secondo, prima di questo: uno chiama l'altro. Buona lettura. 


----- Terzo Capitolo ----- 


Mi presentai alla Malpensa con un semplice bagaglio a mano. Non occorreva altro siccome il resto del materiale era stato inviato sul posto, qualche giorno prima, con un cargo mercantile. Sarei volato a Zanzibar dopo un breve scalo a Il Cairo. 

Con me viaggiarono quattro persone di una televisione privata. Da Zanzibar avremmo raggiunto le zone della ricerca, all’interno del Tanganica, dapprima in battello, poi utilizzando delle jeep e delle guide del posto. 

Il cervello della spedizione era un giornalista famoso e superbo, troppo attento al budget. Era pieno di boria e facilmente irritabile e aveva organizzato la spedizione in maniera approssimativa trascurando elementi importanti. Infatti arrivammo in Tanzania all’apice di un periodo di piogge torrenziali. 

Questo aspetto fu solo l’inizio di una serie di disavventure. 

A parte la pioggia, nella savana mi trovai a collaborare con gente inesperta e impreparata ad affrontare una situazione del genere. Eravamo senza un vero interprete e ci furono problemi elementari a trattare con la gente del posto. Per raggiungere le zone della ricerca, dovemmo cambiare due volte le guide per semplici questioni economiche. Per non parlare delle altre grane. Alcuni tecnici dello staff ebbero un incidente uscendo di strada con una Land Rover e parte dell’attrezzatura di ripresa venne distrutta in maniera irrimediabile da un nubifragio. 

Ne conseguì che operare fu uno strazio tremendo. Passai la maggior parte del tempo a litigare una volta con il giornalista e un’altra volta con il fotografo, per non parlare dell’esperto di ripresa. Non c’era verso di capire esattamente quale fosse il mio compito effettivo. Ogni giorno mi vedevo costretto a cambiare i programmi di operazione, tanto che realizzammo un lavoro scadente sotto tutti i punti di vista. 

Naturalmente, come è mia abitudine, mi mostrai accomodante ma fu comunque chiaro e solare a tutti che in futuro non avrei più collaborato con loro e questa consapevolezza instaurò tra noi un clima di lavoro imbarazzante. 

Il livello di sopportazione reciproco divenne talmente intollerabile che non tornai neppure con loro. Non potei fare il viaggio di ritorno sullo stesso aereo e al termine della spedizione, invece di rientrare in Italia, volai a mie spese con un Cessna in Kenia. 

Non avevo fatto vacanze quell’anno e pensavo che un po’ di sole e qualche bagno nell’oceano Indiano mi avrebbero cambiato l’umore. Andai a Mombasa e azzeccai in pieno la scelta. 

Mombasa non è Malindi certamente, però ha tutto per un turista, ed io, per qualche settimana, non volevo far nulla all’infuori del turista. Trovai facilmente una camera a Diani Beach in un villaggio vacanze strutturato alla maniera swahili, con un buon ristorante e potei recuperare tutto il sonno perso per il nervoso nella savana. 

Nell’albergo ero servito e riverito come uno sceicco arabo. C’era sempre qualcuno pronto a rincorrerti per ogni evenienza senza spendere eccessivamente e passavo i pomeriggi sul bordo della piscina a leggere e a bere birra e cocktails alcolici. 

In quel periodo feci amicizia con un ingegnere tedesco. Ci giocavo a tennis tutte le mattine dopo colazione e qualche volta fu un ottimo partner di sbronze. Una sera andammo a fare tardi in un night di Mombasa. Mezzi ubriachi, spendemmo un sacco di denaro a fare i deficienti e per poco non avemmo guai seri con la polizia locale. Ce la cavammo grazie a qualche banconota sottobanco. Meglio non scendere nei dettagli dunque anche perché non c’entra nulla con la storia. 

In ogni caso io e l’ingegnere facemmo davvero amicizia e una notte ci recammo a vedere i leoni in un parco nei dintorni. 

Fu quando tornai in albergo al mattino che trovai, dopo tanto tempo, notizie di Dario Longhi. Mentre navigavo con un computer dell’internet-room, in attesa che aprissero il ristorante per il pranzo, vidi un suo messaggio nell’Home Page del mio account di posta elettronica. 

Erano trascorsi diversi mesi da quando avevo pubblicato parte del suo lavoro e non ci volle molto a ricordare tutto. Il messaggio era vecchio di tre giorni. Pensai al peggio e mi sentii gelare il sangue nelle vene. Con i guai che avevo, ci mancava qualche seccatura anche con lui per una questione di diritti. 

Scaricai i dati sullo schermo. C’era solo un lungo file di testo, senza allegati, foto e altri fronzoli multimediali. Il contenuto, fortunatamente, non aveva niente a che vedere con quello che mi ero prospettato. 

Ciò che lessi, tuttavia, era molto strano. 

Dario scriveva, che in alcuni boschi intorno al paese dove abitava, stava succedendo qualcosa d’insolito. Si verificavano situazioni che non aveva mai riscontrato con le sue precedenti ricerche. In quella stagione, aveva verificato che alcune delle vipere, da lui censite, erano fuori dai domini naturali di pertinenza, mentre altre parevano addirittura impazzite, per non menzionare quelle scomparse dall’area; era come se ci fosse in atto una migrazione di massa. 

Un altro fatto inquietante era dato – scriveva – dalla condotta bizzarra che assumevano, in quella particolare zona, i biacchi e tutti gli altri colubridi. 

Preso dalle vacanze non ci riflettei troppo. 

Ricordavo di aver constatato in passato casi simili. Per conto mio, potevano esserci diverse cause all’origine del problema. Avevo sperimentato che a volte, con i serpenti, bastava qualche stagione un poco più calda dal punto di vista meteorologico, per guastargli il metabolismo e fargli cambiare completamente le abitudini. 

Insomma nulla di veramente tragico, forse solo un fatto naturale e visto che non c’era nessun riferimento al suo lavoro pubblicato, gli risposi in maniera superficiale, promettendogli che mi sarei occupato della soluzione del problema al mio ritorno dalla spedizione. Gli evidenziai la data precisa del mio arrivo in Italia e non aggiunsi altro. 

Ripartii però solo alla fine di quella settimana e al mio rientro, senza volerlo, tralasciai le promesse fatte. Non sono una carogna ma il mattino stesso del mio arrivo a Treviso trovai nella segreteria telefonica il messaggio di uno studio legale Milanese che mi pregava di contattarlo. 

Quando gli parlai quasi non ci feci un infarto. Lo studio si occupava dei pagamenti della rete televisiva e mi invitava a presentarmi a un colloquio senza perdere tempo: possibilmente l’indomani. Cosicché mi vidi costretto a rimettermi in viaggio con le valige ancora da disfare e prima di rendermi conto dettagliatamente in che condizioni si trovasse il rettilario dopo la lunga assenza. 

Adesso devo confessarvi che il mio collaboratore di Mestre, era preparato e pieno di scrupoli ma mancava di esperienza e mi bastò un’occhiata generica alla struttura per accorgermi di alcuni situazioni a rischio: soprattutto mi parve di notare che una vipera cornuta era in pessime condizioni di salute. Potevo sbagliarmi, ma all’alba del giorno dopo, quando partii per Milano, avevo pure questo problema. 

Non mi rassegnai al peggio in ogni caso e imboccai agguerrito in auto la statale verso il mare. Andai in stazione a Mestre cercando di mettere assieme un problema alla volta. Poi una volta a Mestre lasciai l’auto in una rimessa e salii sul primo treno diretto a Milano. Trovai uno scompartimento vuoto e sedetti nel senso di marcia del convoglio. 

Avevo trascorso la notte in bianco a supporre il motivo della convocazione e, per evitare brutte sorprese, portai con me la documentazione relativa al contratto che avevo stipulato, prima di partire per l’Africa, con gli agenti della Rete Televisiva. Con ogni probabilità si trattava di discutere qualcosa in merito ai risultati e passai la maggior parte del viaggio a studiare i punti tra le varie clausole del contratto. Non avevo niente di cui pentirmi per il lavoro svolto. Mi ero comportato da professionista ma stupidamente aveva sottovalutato certi aspetti secondari della faccenda contrattuale. Probabilmente la responsabilità nel fallimento dell’operazione era da attribuire a qualcun altro, tuttavia – adesso – controllando le postille inserite tra le condizioni, capivo che avrei rischiato di perderci parte del compenso. Non poteva andare in un altro modo quando c’erano di mezzo gli avvocati. 

Questo mi bastò per arrivare a Milano furioso. Inoltre lo studio era piuttosto distante dalla stazione Centrale e questo aspetto mi irritò maggiormente. Ci vollero tre fermate della metropolitana e una decina di minuti a piedi per trovarmi davanti alla targa dell’ufficio. Poi a stomaco vuoto attesi nell’anticamera, seduto in poltrona, di essere chiamato. 

Quando parlai con l’avvocato, come sospettavo, intuii che il confronto dibatteva su alcuni aspetti del compenso. Siccome il documentario realizzato era un fiasco, adesso i responsabili dell’emittente volevano trattenermi parte del pagamento. Da un dirigente della televisione, presente all’incontro, mi veniva contestata – in particolare – una certa supponenza adottata durante la ricerca. 

Sapevo che si trattava di ridicole argomentazioni; in Tanzania avevo soltanto eseguito i compiti per cui ero stato incaricato con estrema coscienza, senza sottrarmi alle responsabilità, cercando al tempo stesso di non prevaricare nessuno. Trovassero delle difese più adatte se non volevano pagarmi. 

Raccontai senza mezzi termini come si erano svolti i fatti evitando di tralasciare anche le cose più insignificanti. Se il giornalista si era sentito svilito per le mie intromissioni, io non poteva farci niente. Con il rischio di farsi mordere da una Vipera soffiante o magari da un Mamba nero, per degli incapaci, mica potevo sottilizzare. Ammisi senza paura di essermi trovato a disagio con simili compagni di lavoro. 

Ora non avevo tempo da perdere. Avevo un milione di cose da portare avanti e non avrei intentato nessuna causa. Sapevo che non mi avrebbe condotto a nulla espormi in un’avventura legale. Non diventavo ricco con quello che avrei guadagnato dalla spedizione. La prossima volta, piuttosto, per evitare sorprese, non mi sarei accontentato di un anticipo e avrei preteso l’intero ammontare del compenso prima di eseguire il lavoro e poi venite pure a cercarmi. Ecco tutto. 

Non aggiunsi altro. Avevo discorso per un’ora in maniera educata senza che dall’altra parte fossero state mosse delle dissertazioni coerenti con i fatti. Era evidente che si trattava solo del capriccio di un personaggio famoso e arrogante che non mi avrebbe portato a nulla. Non potei fare altro che alzarmi, attraversare la stanza e dirigermi alla porta senza aspettare firme e controfirme. Avevo resistito a sufficienza. Tanto i soldi non me li avrebbero dati. 

«Fate quello che vi pare» dissi. 

«È scritto sul contratto» obiettò qualcuno. 

«Sapete dove metterlo.» 

Il responsabile delle televisione mi guardò imbarazzato. Ma non ebbe il coraggio di parlare. Volevo vederlo. Mi limitai a guardarlo negli occhi qualche breve istante. Poi distolsi lo sguardo e guardai l’avvocato allo stesso modo. 

«Posso andare vero?» chiesi. 

Non attesi neppure che lui o qualcun altro mi rispondesse. Per conto mio potevano finire tutti all’inferno senza scalo.  Avevo buttato al vento una giornata intera solo per farmi mettere sotto i piedi.  Aprii la porta e uscii in anticamera. Avrei preso tutti i calci. Mi chiesi solo come avevo fatto a cacciarmi in un guaio simile. 

Per fortuna, la rabbia svanì un poco quando fui in fondo alle scale del palazzo. Dopotutto che senso aveva prendersela con certa gente. La colpa, in fondo, era solo mia che mi ero fatto abbindolare come un bambino dell'asilo. Mi sa che avevo preteso troppo da questa spedizione. O forse mi ero solo illuso. Non lo so. Magari avrei fatto meglio a restare con i piedi per terra e proseguire spedito per la mia strada. 

D’altronde, se a trentadue anni ero ancora un signor nessuno, dove diavolo volevo andare. Se per un istante mi ero sognato di diventare un personaggio pubblico, forse dovevo fare qualche passo indietro e fare un bagno di umiltà. 


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"Grazie per la lettura"

4 commenti:

  1. Davvero accattivante, Ferruccio

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  2. Permettimi la battuta:non si sono affidati ad un bravo Travel blogger!! Scherzi a parte è bellissimo!! Complimenti, questo è saper scrivere!! Ciao Ferruccio

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    1. Chissà a chi si sono rivolti :-D
      Davvero gentile Anna, grazie

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