----- Quarto Capitolo -----
Giunsi a casa con il buio. Avevo sonno ma prima di coricarmi volli dare un’occhiata al rettilario. Le condizioni della Cerastes non erano gravi come avevo sospettato in precedenza ma i controlli necessari per le sue cure mi tennero impegnato sino a notte fonda. Poi ricordai di lavarmi e mangiare e quando andai a sdraiarmi ero stanco morto.
Più tardi, a letto nel buio della stanza, ancora eccitato per la discussione avuta in giornata, capii che sarebbe stata dura addormentarmi.
Anche il risveglio non fu dei migliori. Sentii il telefono squillare ma non capii immediatamente che era reale. Avevo la sensazione di essermi appena assopito e dentro di me tutto continuò a dormire profondamente. Sentii gli squilli nel sonno e pensai dapprima che fosse un giorno di festa o domenica mattina; poi pensai che doveva essere il vicino a dover rispondere e mi chiedevo come mai non lo facesse. Ma gli squilli continuarono sempre più vicini e martellanti come tamburi nelle orecchie.
Scesi dal letto allora e solo adesso, cercando di scendere dal letto, mi resi conto che stavo dormendo e mi svegliai.
Era mattino inoltrato. C’era una luce abbagliante nella stanza. Doveva essere tardi. Mi ero addormentato senza spegnere il cellulare e senza calare le serrande alla finestra.
Detestavo essere svegliato così e mi domandai chi poteva rompere. Volevo che fosse l’avvocato del giorno prima. Lo avrei maledetto senza pietà. Mi voltai nel letto e afferrai il cellulare posato sul comodino pregustando lo sbottamento che avrei avuto rispondendo.
Non potei farlo quando lessi sul display che dall’altra parte c’era Dario Longhi.
Ero stato uno stupido a non contattarlo al mio rientro in Italia e cercai subito di scusarmi ma non fu necessario. Dario si mostrò estremamente comprensivo. Fu lui credo a sentirsi invadente e fuori luogo. Devo confessarvi che aveva un modo di atteggiarsi con la gente fin troppo discreto. La sua educazione gli impediva di aggredire qualcuno suppongo. Sarebbe piaciuto pure a me avere un carattere del genere.
Ascoltai cosa aveva da dirmi. Sembrava preoccupato e mi domandò se avevo riflettuto sul suo problema.
Me ne uscii con la prima cosa che mi venne in mente. «Fa caldo da te?»
«Parecchio» rispose, «ma dubito che sia il caldo a creare problemi.»
Non ero stato molto brillante evidentemente. «Hai qualche idea?»
Dario restò in silenzio qualche istante. Sentivo che macinava qualcosa.
Pensai di aiutarlo. «Allora?»
«Be’ idee precise… no! Però… avrei una proposta da farti» disse.
«Quale?»
«Potresti trascorrere qualche giorno da me?»
Non so come feci a ricordarmi il nome del paese.
«Ho bisogno della tua consulenza Manuel... ti farò pagare dai responsabili del parco naturalmente.»
Non risposi subito. Feci un rapido esame mentale. Insomma non mi sembrava una cosa elementare. Avevo troppi intralci per mollare il rettilario benché intuissi che ci fosse un preciso desiderio da parte sua. Era ovvio che contava molto sulla mia presenza per trovare una soluzione ai problemi che stava affrontando.
In ogni caso, pensavo, che non avrei visto molti soldi andando da lui; sapevo che con certe grosse strutture c’era poco da fidarsi. Lo stavo pagando sulla pelle e magari non si trattava solo di qualche giorno.
Cercai di prendere tempo. «Ho bisogno di pensarci» dissi.
«Pensaci in fretta.»
«Puoi darmi qualche settimana?»
Lui non ebbe bisogno di riflettere. «Tra una settimana potrebbe essere troppo tardi. »
«Non stai esagerando?»
«Non lo so. Può darsi» disse lui. «Ho veramente bisogno d’aiuto. Dimmi a chi posso rivolgermi se non puoi darmi una mano.»
Cercai di spiegargli in che guai mi trovavo per non deluderlo e gli rivelai l’intera storia senza indugio. So di essere ingiusto a comportarmi in questo modo ma non immaginate che sottile piacere provo a fare la vittima certe volte. Gli riferii dei problemi con la televisione privata ed il successivo sviluppo del caso senza vergogna.
Dario ascoltava e annuiva. Sembrava che potesse capire in che stato di cose mi trovavo effettivamente ma appena gli cedevo la parola ritornava in pista continuando a insistere. Era peggio di un martello pneumatico.
«Magari scopri tutto in pochi giorni» disse.
«Non sarà così facile.»
«Ti prego, non so che fare.»
Non me la sentii di abbandonarlo. Come potevo fare. D’altra parte ero io a essere in debito con lui. Alla fine mi feci convincere e concordammo di risentirci l’indomani per fissare una data precisa.
Però, dopo aver posato il cellulare, mi pentii immediatamente. Quando pensai alle grane che stavo mettendo assieme per poco non mi prese un accidente. Ero proprio un imbecille. E sì che pensavo di essere qualcuno di speciale. Uno dovrebbe imparare a dire no qualche volta. Invece niente da fare. Se avete bisogno di aiuto non fatevi problemi a chiedere; la porta per voi è sempre aperta.
Un’ora dopo ero in completa paranoia. Stavo correndo il rischio di restare senza soldi a causa di un branco di bastardi e tanto per complicarmi la vita mi stavo arrischiando in un’altra avventura probabilmente senza senso.
Così quella notte, per la terza volta di fila, non dormii come dovevo. Trascorsi la notte a girarmi e rigirarmi da una parte all’altra del letto passando in rassegna tutti i guai che avevo senza trovare una via di uscita. Ero in un bel pasticcio: con la storia della televisione e il ritardo di altri pagamenti era quasi alla canna del gas. Eppure dubitavo che fossero solo gli avvocati a tenermi sveglio. Forse non era neppure un mero problema di soldi. Sostenere che dipendeva dal fatto di recarmi in qualche valle dispersa tra le Orobie a rendermi così nervoso gli sembrava un’eresia. Sapevo di essere un tipo ansioso ma certe cose poteva reggerle e poi avevo girato mezzo mondo. Però non dormivo e per non innervosirmi di più pensavo a tutte le cose possibili.
Avevo diversi modi per distrarmi. Lo avevo appreso con l’abitudine. D’altronde non era la prima volta che passavo di queste notti. Lo avevo fatto la notte prima e l’altra ancora. Sapevo che non era il caldo a tenermi sveglio e allora per stare meglio e rilassarmi un poco, immaginavo di essere in qualche posto del mondo dove ero già stato e poi pensavo ai posti dove non ero stato e dove volevo andare.
Ora non volevo tornare in Africa. Per quello che ne sapevo ero il solo ad essere immune del mal d’Africa. Era meglio andarsene in America. Mi mancavano le grandi e immense praterie americane. Mi mancavano pure i posti monumentali dell’Arizona o dell’Utah. Un giorno o l’altro sarei andato in giro a piedi da quelle parti come un nomade. Lo avrei fatto molto presto.
Pensai che forse potevo farmi uno studio sui serpenti a sonagli. Avrei potuto scriverci sopra un libro. Avrei voluto averci a che fare ora nella notte e pensai ai nomi altisonanti che possedevano. Mi ricordai del Crotalus atrox. Forse suonava meglio in inglese: Western Diamondback Rattlesnake. Il Crotalus lepidus magari era un nome migliore ma non sapevo dove viveva. Avevo letto da qualche parte che stava sulle montagne rocciose, ma non ne ero sicuro. Il più simpatico era il Santa Catalina, ma forse era solo un bel nome da dare a una gatta. Ricordai che in America c’era pure il Mocassino Testa di Rame. Aveva un nome che ricordava un’astronave del futuro: Agkistrodon contortrix, ma lui non era un serpente a sonagli. Era tuttavia un crotalide. A ogni buon conto i crotali erano quasi come le vipere. Facevano parte della stessa famiglia ed erano i serpenti velenosi più efficienti e letali della terra. Migliaia di anni di evoluzione li avevano resi macchine perfette. Molti viperidi, inoltre, avevano una denominazione scientifica straordinaria. Pensa alla Bitis arientans. Pensa alla Daboia russelli. Solo il nome della seconda diceva tutto. Non ne avevo mai viste comunque. Dovevo andare in India se volevo averci a che fare. Sapevo che facevano parte dei Big Four. In India c’erano anche i Cobra. Pure il Cobra indiano faceva parte dei Big Four. Pensai che sembrava quasi il nome di un complesso musicale, poi pensai che non mi attraevano troppo i cobra sebbene pure loro avessero dei nomi scientifici accattivanti: Naja naja, Naja nivea, Naja haje e Naja oxiana. Neanche fossero una danza e danza e dondola in questa notte che non dormi amico.
E ora dondolai nella notte pensando ai Cobra e quasi sembrava che mi stessi addormentando ma quando pensai che mi stavo addormentando davvero ricordai che era sveglio e ritornai più sveglio e cosciente di quello che fossi in realtà.
Sapevo che se avessi guardato le ore, così sveglio e con insistenza sarebbe diventato peggio e allora continuai a girarmi e a rigirarmi nel letto con gli occhi chiusi. Avevo gli occhi chiusi e la mente lucida come quando si è completamente tesi e concentrati nella soluzione di in problema. Solo che non capivo quale problema stessi risolvendo. Poi sentii un cane abbaiare e il problema divenne quello.
Mi domandai dapprima che cane poteva essere. C’era un vicino che possedeva un pastore tedesco ma era un cane tranquillo. Un altro aveva dei cani da caccia. I cani da caccia quando abbaiavano erano in grado di continuare la notte intera ma normalmente lo facevano un paio di volte all’anno e non erano quei periodi. Doveva trattarsi di un randagio. Mi chiesi chi poteva lasciare un giro un cane la notte. Perché diavolo abbaiava. Non avevo nulla contro i cani, ma non sopportavo quelli che abbaiavano di notte alla luna. Forse dipendeva dal fatto che in passato non avevo mai posseduto un cane. Forse se in passato avessi posseduto un cane sarebbe stato diverso. Non avevo mai neppure posseduto un gatto, ma difficilmente un gatto ti teneva sveglio la notte se non era in estro.
Ricordai che durante il periodo dell’infanzia, quando frequentavo le scuole elementari, avevo avuto un canarino ma la notte dormiva. Gli davo una foglia di insalata e il canarino dormiva con la testa nascosta tra le ali. Iniziava a cinguettare all’alba. Era vissuto soltanto un anno. Era una femmina di colore giallo, tendente al bianco, che credeva di essere un cane da guardia. Ricordavo che quando mi avvicinavo con un dito alla gabbia lei lo aggrediva scambiandolo per un osso di seppia. Ma non abbaiava e una mattina la trovai stecchita sul fondo della gabbia. In tutta la sua vita non si era mai accoppiata. Non ho mai capito se era morta per vecchiaia, per malattia o per solitudine. Piansi quella volta ma da allora non ho più posseduto animali domestici...
... non ricordai neppure come mi ero assopito. Passai la notte senza sognare probabilmente e quando riaprii gli occhi capii di aver dormito qualche ora. Erano le sette del mattino.
Uscii dal letto, infilai le ciabatte e andai in bagno. Mi guardai allo specchio a lungo mentre mi lavavo il viso. Aveva occhiaie grosse e violacee come prugne mature. Anche la barba era irsuta e dura. Magari dovevo radermi ma non ne avevo davvero voglia. Mi sciacquai la faccia fino a quando mi sentii veramente e veramente sveglio. Poi andai in cucina per la colazione.
Preparai un caffè e mentre aspettavo che la bevanda salisse nella moka, pensai a quanto avevo dormito. Ricordavo, che prima di crollare, avevo visto tra le fessure delle tapparelle che si faceva chiaro. Per qualche istante avevo sentito il traffico che iniziava in strada. Dovevo essermi addormentato all’alba. Avevo dormito due ore pertanto. Era poco ma non mi importava. Se non devo usare l’auto, la mancanza di sonno non mi crea problemi. Male che vada resto incavolato. Perciò, nonostante fossi mezzo rintronato andai da basso nel rettilario per il solito lavoro di cura giornaliero con i serpenti.
Lavorai sodo, per qualche ora, controllando che tutto fosse in ordine. Me la sbrigai senza problemi. Quando ebbi finito chiamai Dario. Non volevo mangiarmi la parola data. Al diavolo i guai: per qualche settimana potevo starmene ancora lontano dai miei ambienti. Non lo feci neppure parlare, appena rispose, gli dissi che l’indomani sarei andato da lui.
Lui mi parve immediatamente un altro uomo. Il tono di voce che assunse, quando gli cedetti la parola al telefono, era inequivocabile. Non la finiva più di ringraziarmi.
Non so cosa si aspettasse. Pensai che forse si stava facendo un’opinione troppo alta sul mio valore. Non sapevo neppure a cosa stavo andando incontro.
Gli domandai come raggiungerlo e lui mi consigliò di usare la ferrovia. Non mi sarebbe servita l’auto da lui. Mi disse che in treno ci avrei messo solo cinque ore. Dovevo arrivare a Lecco passando per Milano. Una volta in stazione a Lecco lo avrei trovato ad attendermi. Nulla di particolarmente difficile in apparenza e non gli portai via altro tempo.
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"Grazie per la lettura"
Non vedo l'ora che arrivi da questo misterioso Dario!! E' veramente bello questo "il male tra gli ontani". Complimenti ancora e buona giornata!
RispondiEliminaGrazie mille Anna
EliminaMi piace molto come prosegue la storia
RispondiEliminaGrazie anche a te Ernesto
EliminaHo letto questo post tutto di un fiato e non è mia abitudine ,perché faccio spesso delle pause.Ho capito che anche osservare dalla alto o in lontananza si percepisce sempre una straordinaria vicinanza.
RispondiEliminaBellissimo e travolgente questo capitolo!
Buona giornata
L.
Grazie Linda, buon fine settimana
EliminaUrka, per leggere tutti i capitoli mi sono dimenticata di cenare. Mi succede sempre quando leggo qualcosa che mi appassiona. Perdo il senso del tempo. Complimenti Ferruccio.
RispondiEliminaGrazie davvero Maria
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