giovedì 23 maggio 2019

Il gatto che sognava di essere un delfino - Trentesimo capitolo

Giovedì, eccoci al consueto poste dedicato a uno dei miei progetti narrativo. Siamo al Trentesimo capitolo con Il gatto che sognava di essere un delfino. Mic e le sue facezie non sono finite. Senza cambiare il resto dell'introduzione vi ricordo che potete rileggere il romanzo dall'inizio. Se si tratta della prima volta che capitate sul mio blog attirati da questo titolo, non rovinatevi la lettura, ripartite dall'inizio. Per facilitare il compito potete saltare al post Il gatto che sognava di essere un delfino in vetrina che troverete alla fine di questo post. Oppure seguite l'etichetta. 


----- Capitolo Trenta ----- 

Non credo di aver trascorso la mia vita a darmi delle arie, stavo attento a non farlo. Però non mi dovevano toccare quando dormivo.  

Noi gatti non siamo mai appisolati completamente, se non per cinque o dieci minuti ogni due o tre ore, è questo il motivo per cui possiamo passare anche diciotto ore a sonnecchiare. Tuttavia sogniamo. 

A me piaceva sognare mia madre, quel poco che potevo ricordare nel sogno, ovviamente. Mi piaceva meno sognare di fare delle zuffe. Mi piaceva molto, inoltre, sognare di cacciare e così mentre dormivo mi trovavo a inseguire passeri e lucertole e a volte mi sembrava quasi di volare. 

Peccato che durante la mia vita non mi sia servita a molto la caccia, se non a giocare e a fingere di essere un vero felino. 

Ora, proprio per l’importanza del sonno, non posso fare a meno di riconsiderare le mie aree di isolamento e non citare i diversi posti che utilizzavo per dormire. 

In casa, di solito, se non potevo andare a sistemarmi sul lettone - che detto tra noi era il posto che preferivo in assoluto - mi sdraiavo sul divano. Preferivo adagiarmi quando c’era Marco disteso, perché ne approfittavo per appisolarmi addosso a lui e fare le fusa. Mi allungavo sul suo torace e lo guardavo in faccia mentre lui guardava la televisione. Mi piaceva come respirava e come batteva il suo cuore quando era tranquillo e sereno. 

Un altro posto che utilizzavo in casa, specialmente quando avevo caldo, era il tavolo della cucina. Un luogo davvero paradisiaco. Non mi sdraiavo sul tavolo, no, questo non mi era permesso: mi stendevo sulle sedie che c’erano sotto e vi dico subito che ci stavo una meraviglia, benché è accaduto che qualcuno le spostasse, non notando la mia presenza, facendomi finire a muso in giù sul pavimento. 

Per qualche tempo, sebbene raramente, sono andato anche in bagno a riposare. Mi sistemavo sopra un tappeto e se non ero disturbato ci potevo trascorrere qualche ora. 

Una volta, da cucciolo, ci andai per nascondermi nel cestello della lavatrice, un'altra volta invece  per giocare con la carta igienica. La srotolai, mi ci avvolsi e la portai in giro per le stanze della casa sospingendo le porte socchiuse. 

Lisa mi sgridava sempre, quando facevo queste cose o combinavo dei piccoli disastri. «Mic, se ti prendo!» 

Non riusciva mai a prendermi, anche perché le facevo paura: rizzavo il pelo, mi alzavo sulle zampe e sollevavo la coda. Lei mi vedeva davvero grosso, forse molto più di quanto lo fossi realmente e alla fine scappava terrorizzata, o almeno questo era ciò che pensavo e credevo io. 


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"Grazie per la lettura" 

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Leggi tutti i capitoli de' Il gatto che sognava di essere un delfino

6 commenti:

  1. eccolo il mio Mic
    Alessia

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  2. E' proprio simpatico Mic! nel cestello della lavatrice, o in giro con la carta igienica! Sto ridendo da sola! Grazie Mic e Ferruccio! Buona giornata

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    Risposte
    1. Forse vuol dirci che bisogna accontentarsi delle piccole cose, a volte...

      Grazie Anna, buona giornata a te!

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  3. Leggendo il tuo racconto, mi ricordo della mia gatta. Mi ricordo, per esempio, che alcune volte mentre dormiva, miagolava. Forse anche lei sognava chissà cosa.
    Questo tuo gattino è troppo simpatico. Buona giornata

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