----- Capitolo Ventisette -----
Odiavo terribilmente la pioggia e l’odore e il fumo delle sigarette.
Con la prima non potevo farci niente: se girovagavo nel quartiere e mi trovavo di colpo allo scoperto cercavo di proteggermi rintanandomi in qualche anfratto. Restavo lì fino a quando smetteva di piovere.
In casa, sia Lisa sia Marco, conoscevano questo mio fastidio. Bastava rientrare dai miei giri bagnato per vederli afferrare uno di quei panni di carta che usavano in cucina e sentirmeli strofinare addosso sino a quando il mio pelo non era di nuovo asciutto come un prato estivo dopo una settimana di aridità. Io godevo in quelle condizioni.
Non era così con il fumo.
In casa a nessuno era permesso di fumare, ma sulle scale del palazzo qualche condomino non aveva questa accortezza e se per caso rimanevo intrappolato al suo interno potete immaginare come potessi sentirmi.
Era una cosa che non sopportavo e ho sempre giudicato il vizio del fumo un’assurdità che solo gli esseri umani potevano adottare. Non immaginavo neppure come potevano rimanerci intrappolati poiché la prima volta che ci provavano stavano male come cammelli.
Marco per fortuna aveva smesso di fumare. In realtà non lo avevo mai visto fumare. Avevo smesso quando era morto suo padre, prima ancora di sposarsi, e pensandoci adesso, a tanto tempo di distanza, credo sia stata, da parte sua, un modo per sublimare il dolore.
Ogni tanto li sentivo parlare ancora di quel vizio.
«Ricordi quando fumavi?» chiedeva certe volte Lisa.
«Come potrei dimenticarlo, non vedo l’ora che mi fucilano per fumare la sigaretta del condannato.»
«Scemo!»
«Dài, scherzo.»
Quando aveva il vizio del tabacco, fumava dalle quaranta alle cinquanta sigarette al giorno. Di solito fumava le Marlboro contenute nel pacchetto rosso rigido, ma quando aveva bisogno di qualcosa di più forte ricorreva alle Gauloises.
Se invece la gola era irritata o era tormentato da qualche malessere fisico si orientava sulle Philip Morris bianche. Capitava però che fumasse pure le Merit, le Lucky Strike e le Camel.
Le pagava ancora in lire e l'ultimo anno da fumatore spese quasi quattro milioni.
Un disastro economico e fisico.
A metà degli anni novanta il suo mondo sapeva di fumo: auto, vestiti, ambienti, tutto puzzava di fumo. Le lasagne al forno sapevano di fumo, come gli arrosti, le bistecche, i formaggi e le pizze al ristorante. La birra, i drink e i bicchieri di vino sapevano di fumo. Baciava Lisa e lei gli diceva che sapeva di fumo. Andava in bagno e la cacca sapeva di fumo.
Alle undici di sera il suo volto era solcato da rughe che sembravano quelle dello scrittore Charles Bukowsky. Aveva i polpastrelli delle dita gialle, le mani gialle e la faccia gialla e gli occhi sempre arrossati.
Adesso le rughe erano solo quelle legate all’età, ma erano in ritardo di dieci anni.
Naturalmente non aveva risparmiato molti soldi smettendo: qualche vacanza più lussuosa, qualche abito firmato, non la solita pizzeria… qualche regalo in più a Lisa. I soldi per il matrimonio. Il denaro volava lo stesso ma ce n'erano molti di più nelle tasche.
Smettendo di fumare si era tolto di torno, nel giro di un paio di anni, tutti i piccoli malesseri fisici che lo accompagnavano. Aveva smesso di andare dal dentista per farsi pulire i denti e per curare carie e nevralgie. Non si era più beccato un’influenza e neanche un raffreddore.
Non aveva mai sofferto di insonnia ma ogni tanto lo sentivo dire che nel periodo in cui fumava trascorrere una ventina di minuti nel letto a far fluttuare i pensieri prima di assopirsi e pensava fosse una cosa del tutto normale.
Come pensava fosse normale dormire quattro ore a notte.
Non era così. Un paio di mesi dopo avere smesso di fumare si rese conto che era sufficiente coricarsi per rimanere secco e tornare a dormire beato come i bambini. E adesso gli erano indispensabili almeno sette ore di sonno per sentirsi bene e a suo agio. Una notevole differenza.
Certo aveva dovuto combattere con la bilancia, visto che era vero che si ingrassava quando si smetteva di fumare, tuttavia non durava per sempre.
Per qualche anno però era stata dura.
Marco aveva sempre come una specie di fame chimica addosso che colmava mangiando caramelle (Mentos e Fisherman's Friend).
Insomma un paio d’anni di pena li aveva attraversati.
Poi, appena aveva acquistato la consapevolezza della condizione, erano subentrati il carattere e le motivazioni e in un secondo tempo una dieta gli aveva permesso di a riprendere la linea che voleva. Anche l’aspetto fisico esteriore ne era stato avvantaggiato: era diventato più bello e affascinante.
Aveva risolto anche un altro piccolo problema legato al vizio del fumo. Marco diceva che lo aveva fatto raramente ma non aveva mai sopportato chiedere sigarette. Quando capitava era un’umiliazione per lui. Magari era in giro come un barbone e si metteva pure anche a scroccare le sigarette a dei perfetti sconosciuti.
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"Grazie per la lettura"
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Non ho mai fumato
RispondiEliminaAlessia
Brava, grazie!
EliminaQuesto gatto ha sempre ragione un brutto vizio che purtroppo mi appartiene.Dal racconto Ferruccio,ho forse erroneamente intutito che hai vissuto con dei fumatori o sei un ex tabagista? Poco importa, comunque, questo racconto mi conferma che ho un vizio brutto, costoso, e sopratutto dannoso alla mia salute. Un altro modo per farsi del male! Buona giornata Ferruccio!
RispondiEliminaTutti e due Anna
EliminaBuona giornata e grazie
Smettere di fumare significa guadagnarci in salute, in denaro. Il gatto è decisamente più intelligente dell'umano. Buon fine settimana
RispondiEliminaGrazie, buon fine settimana a te
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