----- Capitolo Ventiquattro -----
Mi piaceva ascoltare la musica.
Mi era sempre piaciuta la musica, ma non tutta, sia chiaro.
Il figlio più piccolo dei miei vicini - un ragazzo in piena tempesta ormonale, da poco tempo in possesso di una macchina sportiva - ascoltava sempre della musica all’autoradio con il volume al massimo. I toni dei bassi e della ritmica facevano rimbombare le pareti delle case circostanti come se fossero nel mezzo di un uragano. Un vero inferno, anche se chiamarla musica mi pareva un’offesa per la musica vera e propria.
Lisa sbuffava sempre in quei momenti, chiudeva le finestre ma un po’ di rumore entrava lo stesso.
Io andavo pazzo per la musica classica: Gabriel Fauré, Wagner, Pachelbel, Bach, Samuel Barber e una miriade di altri compositori che ora non ricordo. Poi mi piacevano le arie dei cantanti lirici, quelle di Pavarotti in primis. Apprezzavo alcune canzoncine pop tutte smielate e Lucio Battisti cantato da Lisa. Poi ci mettevo le colonne sonore di certi film, musiche scritte da Zimmer, da Vangelis, da Horner…
Andavo pazzo anche per le composizioni eseguite al pianoforte e sono sicuro che se fossi stato un essere umano sarei diventato un grande pianista.
La musica classica era quella che preferivo, non perché fosse la migliore in assoluto - un gatto dopo che si è abituato può ascoltare anche i Green Day, gli Oasis, i Sex Pistols, la musica tecno e i valzer della riviera romagnola - ma perché ben si associava con il mio carattere e con il mio bisogno di calma e mitezza.
Mi dava fastidio anche la gente che urlava. Non sopportavo le persone che parlavano ad alta voce. I bambini che schiamazzavano. Gli ubriachi che vomitavano o che cantavano. I cani che abbaiavano. Non sopportavo i muggiti delle mucche portate al macello e il canto di un gallo all’alba.
Odiavo le sirene dell’ambulanza.
Tolleravo quasi per niente chi suonava uno strumento a fiato d’ottone, per non parlare dei muratori che venivano in casa a fare lavori di ristrutturazione. Pativo il motore di avvio delle auto e ancora di più quello delle moto e il frastuono dei jet che volavano a bassa quota.
Non parliamo dei botti di Capodanno e delle bombette di Carnevale. Erano le due feste che meno apprezzavo. Temevo sempre di finire male quando sentivo scoppi e colpi improvvisi.
Ma il peggio del peggio era il suono de campanello alla porta di casa. Non mi sono mai abituato. Sobbalzavo e mi nascondevo come se fossi vittima di una reazione peristaltica ogni volta che lo sentivo.
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"Grazie per la lettura"
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Il gatto che sognava di essere un delfino. Vista attraverso gli occhi di un gatto, una metafora sulla condizione umana. Un gatto che nello stesso tempo racconta le avventure della sua vita, dai primi istanti sino all'approssimarsi della morte. In vetrina, oggi, il post con tutti i capitoli pubblicati. Post che in seguito sarà destinato a raccogliere tutti i capitoli pubblicati al giovedì di ogni settimana...
--->> Il gatto che sognava di essere un delfino in vetrina
Particolari gusti musicali
RispondiEliminaAlessia
Grazie Alessia!
EliminaAdesso sono un po confusa ,non saprei se i gusti musicali del gatto sono i tuoi e se tutti quei rumori danno fastidio più a te che al gatto:-)
RispondiEliminaMa "l'immedesimazione" di cui scrive Hemingway non era solo tra rispettivi umani?
L
Non ti so rispondere. :-D
Eliminaso che il mio gatto scappava quando suonava il campanello alla porta e non ti dico cosa faceva quando suonavo il sassofono.
Grazie