giovedì 4 aprile 2019

Il gatto che sognava di essere un delfino - Ventitreesimo capitolo

Ventitreesimo appuntamento del giovedì con Il gatto che sognava di essere un delfino. Vi ricordo che potete rileggere tuttavia il romanzo dall'inizio. Se si tratta della prima volta che capitate sul mio blog attirati da questo titolo, non rovinatevi la lettura, ripartite dall'inizio. Per facilitare il compito potete saltare al post Il gatto che sognava di essere un delfino in vetrina che troverete alla fine di questo post. Altra strada è quella di seguire l'etichetta o muovervi tra i vari capitoli. 


----- Capitolo Ventitré ----- 

Da cucciolo, di solito, quando stavo fuori la notte a bighellonare e rientravo soltanto il mattino, ero accolto da Marco. Avevamo creato un rituale che non dimenticherò mai più. 

Apriva le persiane, si affacciava alla finestra e schioccava le dita. Io, poiché mi trovavo lì da qualche ora, uscivo dal mio nascondiglio - spesso un’auto in sosta o un luogo rialzato nelle vicinanze - mi mostravo, sollevavo la coda e miagolando gli dicevo: «Ciao!» 

«Ciao Mic!» esclamava lui. 

Subito dopo sentivo il clack di apertura del portone che aprivo sospingendolo con la testa. Marco nel frattempo mi veniva incontro sorridente sulla porta dell’appartamento e mi faceva entrare. 

Era sempre una meraviglia fare colazione con lui, in modo speciale quando non aveva fretta di uscire e andare via per questioni di lavoro. Canticchiava sottovoce, parlava sottovoce e mi raccontava un sacco di cose. Spesso mi domandava di Lisa. Mi chiedeva se mi piaceva e sorrideva. Mi diceva che era un uomo ricco e fortunato ad amare una donna così. 

Parlava di tante cose, ma io fingevo solo di ascoltarlo. Peccato che le rogne della sua occupazione, lo obbligavano spesso ad andare sempre via. Ma lo capivo e non mi lagnavo, se non avesse fatto quel tipo di professione non avrebbe potuto viziarmi con tutte quelle cose buone da mangiare. 

Per anni, subito dopo aver fatto colazione con Marco, ho trascorso le mattinate nella stanza di Lisa. Lei si alzava sempre un pochino più tardi e mi divertivo a disturbarla. Così appena mi buttavo sul suo letto e andavo alla ricerca della posizione migliore per dormire lei apriva gli occhi e faceva finta di lamentarsi. 

Quando faceva così mi ricordava l’attrice protagonista del film Colazione da Tiffany. 

A volte, pensavo che le assomigliasse pure. Aveva i capelli e gli occhi della stessa tonalità ed era magra allo stesso modo. 

Ora che ci penso mi sa che l’idea di chiamarmi Mic sia nata da quel film. È un film che piace molto anche a me. C’è anche una bella canzone. 


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"Grazie per la lettura" 

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Il gatto che sognava di essere un delfino. Vista attraverso gli occhi di un gatto, una metafora sulla condizione umana. Un gatto che nello stesso tempo racconta le avventure della sua vita, dai primi istanti sino all'approssimarsi della morte. In vetrina, oggi, il post con tutti i capitoli pubblicati. Post che in seguito sarà destinato a raccogliere tutti i capitoli pubblicati al giovedì di ogni settimana... 
--->> Il gatto che sognava di essere un delfino in vetrina

6 commenti:

  1. Mic rispecchia a pieno la natura libera e indipendente dei felini. Nel mio continuo cercare storie per il blog, una volta ho letto che in alcune regioni dell'est asiatico, quando moriva qualcuno, lo seppellivano assieme al suo gatto VIVO, lasciando, però, un foro nella cripta. Secondo la credenza, l'anima di quella persona si sarebbe trasferita nel gatto prima che questi scappasse e riacquistasse la libertà. Non è meraviglioso?

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    1. Eccome, a volte ho pensato anch'io che i gatti che giravano per casa fossero l'anima di qualcuno che non c'era più

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  2. Uno scorcio di vita quotidiana, presentato con lo stile raffinato che solo la semplicità riesce ad esprimere. Grazie Ferruccio.

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  3. Semplicemente fantastico questo gatto
    Alessia

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