----- Capitolo Venti -----
Gli esseri umani dovrebbero imparare a trattare i loro simili come se fossero i protagonisti di un documentario. In questo modo eviterebbero le delusioni e vivrebbero in maniera davvero piena e felice.
Durante la mia esistenza non ho mai deluso Lisa e neppure Marco. Potevo fare qualsiasi cosa senza correre il rischio di deluderli.
Sparii per dieci giorni senza dire nulla e non li delusi. Gli soffiai addosso e li graffiai e mai li delusi. Spaccai piatti e bicchieri, sporcai per casa, rovinai il divano con gli artigli, buttai croccantini, vomitai, feci avanzi di cibo, defecai fuori dalla cassetta (questo lo feci solo una volta), insomma potei fare qualsiasi cosa e mai li ho delusi.
Fingevano di essere arrabbiati: «Sei un gatto cattivo» diceva Lisa.
«Oh, ma che stronzo sei?» borbottava Marco tutte le volte che gli toccavo i tasti della tastiera del computer, mentre stava lavorando.
Potevo fare davvero qualsiasi cosa senza correre il rischio di deluderli. Ne ero sicuro.
Purtroppo tra gli essere umani non è così. Gli esseri umani vivono in un così misero egoismo affettivo che basta un saluto sbagliato per rovinare i rapporti.
Non tolleravo quando Lisa e Marco litigavano. Un po’ perché ci andavano di mezzo i miei vizi, un po’ perché loro si bruciavano istanti di esistenza che non potranno rivivere mai più.
Non litigavano spesso, ma quando lo facevano stavo male, molto male. Erano capaci di trascorrere anche tre o quattro giorni reagendo soltanto con mugugni e grugniti come le bestie.
Lisa quando era arrabbiata e furiosa con Marco cucinava male. Lo faceva apposta e ce la metteva tutta per sbagliare. Faceva scuocere la pasta o non aggiungeva il sale all’acqua di cottura solo perché sapeva benissimo che Marco odiava mangiarla in poltiglia e insipida, ma lui era buono e non reagiva e così facendo lei si arrabbiava ancora di più.
Non si guardavano neppure in faccia quando litigavano. Si comportavano come due sconosciuti. Andavano a letto a un’ora di distanza l’uno dall’altra, sempre che uno dei due non dormisse sul divano al posto mio. E alla mattina Marco usciva di casa senza radersi la barba e senza fare colazione e magari indossava i pantaloni non stirati e gli stessi calzini del giorno prima.
Quando succedevano queste cose ci andavo di mezzo anch’io. Mi accorgevo che qualcosa non funzionava come avrebbe dovuto. Ma la cosa più brutta e scocciante era quando Lisa approfittava di questi momenti per abbracciarmi, stringermi e piangere. Come se io fossi stato in grado di risolvere tutto.
Sono un gatto, non un dio.
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"Grazie per la lettura"
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Il gatto che sognava di essere un delfino. Vista attraverso gli occhi di un gatto, una metafora sulla condizione umana. Un gatto che nello stesso tempo racconta le avventure della sua vita, dai primi istanti sino all'approssimarsi della morte. In vetrina, oggi, il post con tutti i capitoli pubblicati. Post che in seguito sarà destinato a raccogliere tutti i capitoli pubblicati al giovedì di ogni settimana...
--->> Il gatto che sognava di essere un delfino in vetrina
"Sono un gatto,non un dio".
RispondiEliminaMolto bello.Dovrebbe funzionare allo stesso modo e con la stessa affermazione tra tutte noi persone...
Buona giornata
L.
Grazie L.
EliminaSiamo proprio bravi a rovinarci le giornate! E' vero basta un nonnulla, e vengono fuori tutte le nostre fragilità. Un saluto Ferruccio
RispondiEliminaGrazie Anna, buona giornata
EliminaBuongiorno Mic, sei solo un gatto non sei un dio, bravo
RispondiEliminaAlessia
Grazie Alessia
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