----- Capitolo Cinque -----
Naturalmente - come succede nella maggior parte dei casi - la seconda volta che uscii di casa le cose andarono in modo diverso. Colpa dell’inesperienza. O forse è meglio scrivere colpa di un eccesso di presunzione. Chissà cosa supponevo di sapere.
In quell’occasione pensai bene di fare l’esploratore e, superata la ringhiera che cingeva il giardino, mi allontanai e mi avventurai per il quartiere.
La zona dove vivo non è molto trafficata, passano poche auto sulla strada che compie la circonvallazione e non ci sono punti di ritrovo per le persone: cose come bar, negozi e chiese. A nord ci sono dei boschi di ontani e di nocciolo e poi sentieri che portano sugli alpeggi di alta montagna, mentre scendendo a valle si va verso il centro vecchio del borgo.
A prima vista è un luogo tranquillo e forse lo è davvero, se uno lo conosce bene. Non ci sono delinquenti e non accade mai nulla fuori dalla norma, a parte il passaggio di qualche ambulanza per casi gravi. Purtroppo ci sono anche delle stalle e delle vecchie case diroccate con porte e finestre facilmente raggiungibili e queste, per un gatto, sono irresistibili.
In effetti non andai molto lontano da casa. Imboccai una strada che attraversava un parcheggio comunale e che proseguiva separando degli orti ancora rigogliosi di frutti e verdure. Avrei potuto fermarmi a cercare carote nell’humus degli appezzamenti, mi sarei divertito lo stesso, invece, non so cosa mi spinse a infilarmi in un pollaio situato un centinaio di metri più avanti.
Una volta all’interno iniziai a rincorrere le galline. Uno spasso anche questa volta. Dovevate vedermi. Non immaginate quanto sia divertente inseguire questi pennuti starnazzanti. Non bisogna farlo, ovvio, quando ci sono un gallo o una chioccia con i pulcini nei paraggi, si rischia di farsi male.
Quel giorno però non c’era nessuno che potesse irritarsi, le galline svolazzano tutt’intorno e mi divertivo in questo modo, tanto che ancora adesso non so cosa successe. Già. Sembra un mistero. Se credessi ai fantasmi avrei la soluzione. Invece…
Capii che qualcosa non andava. Ero sommerso da un mucchio di feci. Impossibile risalire a come avessi fatto a ridurmi così. Avevo addosso un odore tremendo e nauseabondo.
Lisa mi scorse dal balcone mentre risalivo mogio il sentiero verso il giardino di casa. Notò al volo che qualcosa non quadrava. Mica era stupida la signora.
Ero imbarazzato nel farmi vedere così. Stavo male e non avevo idea di come potessi liberarmi dallo schifo che mi portavo appresso.
Lei attese sulla porta d’entrata. Mi scrutò pensando fossi ferito in un primo momento. Solo quando fui entrato in casa e dopo che mi ebbe esaminato si accorse del mio problema. Fece una smorfia, annusando schifata il puzzo che emanavo. Io mi sentivo sempre più a disagio.
«Oddio» disse, «senti che odore Marco?»
Marco sorrise: «Che cavolo ha combinato l’animale?»
«Come ha fatto a conciarsi così. Come ci sarà finito dentro?»
Erano feci, di qualche animale o forse di un essere umano. Non lo so. Erano feci impregnate sul mio pelo come una gomma da masticare sotto una scarpa.
Marco si irrigidì, prima di scuotere il capo diverse volte, sconcertato. «Portiamolo in bagno» suggerì. «Bisogna lavarlo, sta male in queste condizioni!»
Aveva ragione.
Mi pulirono nella vasca da bagno. Usarono la doccia.
Marco infilò le mani in un paio di guanti di gomma e mi tenne fermo accarezzandomi la testa e parlando sottovoce, mentre Lisa mi lavò usando il getto d’acqua calda.
Fu una vera tortura per me. Mai stato così a disagio e mi sento ancora male se ci ripenso. Odio l’acqua. L’ho sempre odiata, sin da quando ero cucciolo. Quella volta però dovetti adattarmi. Mi sforzai e mi lasciai pulire, finché tutta quella porcheria puzzolente si staccò dal mio pelo.
Ci vollero dieci minuti, ma a me sembrò un tempo eterno. Forse usarono anche dello shampoo per capelli. Dovevo fare tenerezza in quello stato.
Una volta lavato fui asciugato dapprima con un panno di carta da cucina e poi con il phon per i capelli. Desideravo tanto rimettermi in sesto che non temetti neppure l’aria calda che usciva da quel diabolico aggeggio elettrico.
Per fortuna, nel giro di poche ore, dimenticai quella brutta esperienza e trascorsi una delle migliori serate della mia vita. Fui coccolato e adorato come non mai. Lisa, per cena, mi offrì il tuorlo di un uovo. Era la prima volta che lo faceva. Disse che avrebbe fatto bene alla lucidità del mio pelo. Non avevo mai mangiato qualcosa di così buono e nutriente prima di allora. Ne avrei lappati tre se fosse stato possibile.
Alla fine, bello, pulito, profumato, rifocillato e sazio, ebbi il permesso di dormire in camera ai piedi del loro lettone.
Mi comportai bene, non sporcai e non diedi nessun fastidio.
In seguito andai a dormire nel loro letto parecchie volte. Era una delle cose più belle che potessi fare. Per infilarmi nella loro camera avevo inventato anche dei trucchi subdoli. Ero capace di nascondermi e saltare con quattro balzi sul letto appena qualcuno apriva per sbaglio la porta della loro stanza.
Mi piaceva dormire sul materasso, specialmente quando era ancora caldo. La camera era silenziosa e niente mi faceva paura quando mi sdraiavo lì sopra.
Potevo trascorrerci anche delle giornate intere a sognare mia madre e cibo.
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"Grazie per la lettura"
Mi sembra di capire che questo micio sognatore una ne faccia e cento ne pensi. :-)
RispondiEliminaPiù o meno, grazie Gennaro
Elimina:) Gatti!!!!
RispondiEliminaSì, sono così. Ci riconosco i miei e ne ho avuti tanti davvero.
Mi piace questo romanzo!
Grazie PaT
Eliminawow, aspetto il giovedì per rivedere il mio gatto !!! piacevole lettura
RispondiEliminaGrazie Cinzia, mi fa davvero piacere, anche perché il bello deve ancora venire
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