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Nino di Mei |
L'ultimo regalo che mi fece papà furono degli scarponcini di una marca americana. Una sera tornai a casa dal lavoro e mi porse la scatola che li conteneva. Non disse da dove venivano. Li aveva acquistati per ringraziarmi di averlo scarrozzato in giro con l'auto negli ultimi mesi.
Li trattai come una reliquia per tutto il tempo che li vissi.
Pochi giorni dopo li inaugurai e li misi per un viaggio a Francoforte sul Meno, dove andavo in gita scolastica come accompagnatore per l'istituto in cui insegnavo.
Erano scarpe originali, comode e belle e non mi accorsi neppure di averle ai piedi. Camminai l'intera giornata portando a spasso, le ragazze e i ragazzi della scuola, tra i vicoli e le piazze del centro vecchio della città tedesca senza neppure pensare che fossero nuove.
Alla sera, in albergo, quando le tolsi, mi sentii un principe. I piedi non mi dolevano e non erano stanchi per nulla.
Pulii le scarpe con uno straccio, poi, prima di andare a letto, mi chinai e le sistemai in basso, di traverso, in un armadio a muro ricavato sulla parete nell'atrio della camera.
Le osservai prima di chiudere le antine e spegnere la luce: mi piaceva il colore ed erano l'ideale per il periodo invernale. Avevano un buon odore di pelle ed erano eleganti. Pensai che a mio padre dovevano essere costate un capitale.
In seguito le calzai sempre con parsimonia. Non volevo rovinarle. Evitai di andare nei boschi e per sentieri anche se parevano fatte apposta per quello scopo. Erano scarpe destinate all'avventura e al lavoro duro.
Adoravo portarle anche in città. Specie quando pioveva o c'era brutto tempo. Mi facevano sentire a mio agio. Le mettevo al posto dei mocassini e in questo modo non ero obbligato alla cravatta.
Ero adeguato in qualsiasi contesto.
Le portavo con i jeans e una giacca blu, oppure con i chinook beige e un giubbino di renna. Non mi sentivo mai fuori luogo. Facevo sempre una bella figura e non mi dolevano mai i piedi.
Ci cambiai due volte le stringe e con il tempo i tacchi si consumarono sulla parte esterna. Mi fecero assumere una strana postura, ma non le buttai.
Persero un po' di tono nel colore, con il tempo si sporcarono e l'imbottitura interna andò a farsi benedire, ma erano scarpe impermeabili e mantenevano i piedi sempre caldi.
Le tenevo pronte per ogni evenienza e controllavo che non ci fossero rotture e strappi sulle cuciture e danni sotto la suola.
Erano comode anche alla guida dell'auto, sentivo i pedali come se fossi a piedi nudi e non finii mai in terra per colpa loro.
Erano robuste, indistruttibili, eterne e senza fine.
Pareva quasi che avessero un'anima nella tomaia.
O forse era soltanto ciò che credevo io.
Vi voglio bene.
Grazie.
Ma è semplice! Io lo so dove il tuo papà acquistò le scarpe: da Papa, no? Non fu Hemingway a dire: vendesi scarpe da bambino, mai usate?? Bellissimo racconto!
RispondiEliminaChe scherzi l'inconscio!
EliminaGrazie Ferruccio, i tuoi racconti come sempre hanno un'anima, e viene voglia di rileggerli più e più volte. Per me sei un esempio.
RispondiEliminaStefano sei troppo buono!
EliminaGrazie
"Pareva quasi che avessero un'anima nella tomaia.
RispondiEliminaO forse era soltanto ciò che credevo io".
.....forse è soltanto ciò che credevo anche io e qualcun'altro che sa cogliere il senso dell'anima in tutto!
L.
Grazie L. Buona Giornata!
EliminaNon me ne voglia se non le ho dato il buon giorno,è sempre sotto inteso.....magari è anche un modo per non farle ripetere solo buongiorno e grazie...cosa che a quanto pare accade a prescindere...cosa che a quanto pare svela proprio il suo modo di essere....
RispondiEliminaBuona giornata e Grazie a lei....se non scrivesse pensa che avrei potuto mai fare ciò? E chi lo sa!Siamo prima corpi e poi anime o viceversa?
L.
Lo so che era sottintesa la buona giornata!
EliminaPrima ho provato invano due volte a inviare un commento. "Spesso le scarpe, specialmente se comodo e versatili, ci sono care con un attaccamento come quello che avremmo con una persona cara, specialmente se a regalarcele è stata una persona a noi carissima.
RispondiEliminaCredo sia proprio così, grazie
EliminaCiao Ferruccio, ieri ho riascoltato "Vecchio scarpone" di Gino Latilla, che coincidenza. Vuoi molto bene a tuo padre, sei autenticamente buono !
RispondiEliminaGrazie Caranas, un abbraccio!
EliminaBello, un racconto che può funzionare come incipit per un libro!
RispondiEliminaGrazie Francesca!
Eliminabellissimo racconto!
RispondiEliminaIl paio di scarponcini sono solo il contorno cìdel sentimento che nutri per tuo padre. E' stato la "scusa" per parlarne, per renderlo pobblico.
Direi che questo racconto ha sì un'anima ma un'anima buona e affettuosa. Piena di ricordi dolci e malinconici. E amore.
Ciaoooo
Grazie mille Patricia!
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