sabato 24 febbraio 2018

La finestra del pittore

Nino di Mei
La finestra del pittore è il titolo del racconto artistico di questa settimana. Il bisogno di dipingere di un pittore. Il bisogno di creare la sua arte. Nino di Mei l'ispiratore. La vetrina settimanale il posto. Buona lettura. 

Dipingeva solo. Non poteva esserci gente in casa attorno. Dipingeva la domenica pomeriggio e la sera dopo cena. Tutte le sere della settimana per tutti gli anni a venire. 

Voleva essere solo. Non poteva esserci rumore intorno. Si metteva all'opera subito dopo aver portato i bambini a dormire. 

Li accompagnava in camera da letto, gli faceva recitare le preghiere della sera, aspettava che il più piccolo si mettesse sotto le coperte e che gli dicesse di spegnere la luce e poi tornava in soggiorno che adesso diventava il suo atelier. 

Cercava una luce buona e poi dava spazio ai colori. Ai suoi pennelli, alle sue spatole, alle sue tele e alle sue tavolozze. 

Dipingeva come Hemingway scriveva. Cercava di essere oggettivo con la sua arte e dipingeva quello che vedeva anche se le facce e i volti dei suoi personaggi potevano essere chiunque. 

Per lui dovevano soltanto suscitare emozioni. 

Le case e le montagne erano quelle familiari, precise e immortali e segnate dal tempo. Come erano familiari e immortali nella loro vividezza gli animali che ogni tanto finivano nelle sue tele e nei suoi disegni. 

A volte si metteva davanti alla finestra e dipingeva quello che vedeva fuori in strada. A volte ritraeva l'inverno. In altri momenti erano gli sterminati tramonti porpora estivi. Ogni tanto ci finiva qualche arcobaleno. 

La sua arte sapeva di pioggia e di sole. 

Pensava a Cézanne e alla sua difficoltà come artista. Pensava a Van Gogh e ai suoi drammi come uomo. Pensava agli impressionisti. Pensava a quando sarebbe potuto uscire e dipingere in en plein air. 

Pensava al bene nel mondo. 

Pensava al male nel mondo. 

Pensava all'amore che metteva in un quadro. 

E intanto dipingeva. 

Nelle sua pittura poteva finirci di tutto. C'erano anni di scuola per corrispondenza e c'era l'esaltazione che veniva a galla ogni qualvolta un suo insegnante aveva trovato della qualità in un suo lavoro. 

Pensava a Claude Monet. Pensava a Degas. Pensava alla luce di Edward Hopper. In soggiorno con l’odore di acqua ragia e trementina e dei colori a olio. Pensava a Renoir. 

Forse un giorno avrebbe avuto una stanza tutta per sé. Magari un atelier come Picasso. Ma dipingeva da solo con il suo stare al mondo. E i quadri prendevano vita. 

Forse, un giorno, i suoi figli avrebbero pensato a lui. 


Vi voglio bene. 

Grazie.

6 commenti:

  1. Al di là della forza nelle tue parole, si percepisce quali fossero le speranze e i sogni dell'artista, nonché l'amore, l'orgoglio e l'impegno con cui hai egregiamente descritto tutto questo. Molto sentito, complimenti!

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  2. Ma la genialità è una dote che si tramanda?

    Buona giornata!

    L.

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  3. Bellissimo racconto.
    E direi che i figli ci hanno pensato, no?
    In ogni caso, amo molto questi quadri: semplici, quotidiani, a volte rurali a volte montani.
    Mi piacciono perché sono quelle opere che si vedono in luoghi per me magici... :)

    Moz-

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