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Nino di Mei |
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C’era un elegante gentiluomo che prima della chiusura del bar passava a prendere un ballon di vino rosso. Lo faceva tutte le sere, verso le otto, per tutte le volte che eravamo aperti.
Entrava, ordinava, dava un’occhiata in giro e cercava un tavolo libero di fronte alla porta. Poi si sbottonava il blazer e sedeva in modo da poter guardare verso l’uscita che dava sul terrazzo illuminato del locale. Non chiedeva altro e attendeva che qualcuno di noi lo servisse.
Assomigliava a Clint Eastwood, le stesse rughe profonde e la stessa faccia dura. Non diceva quasi una parola. Guardava tutti e nessuno in particolare. Sorseggiava il suo vino, leggeva il giornale - quando lo trovava - e se ne andava via così come era arrivato senza mai cambiare espressione sul viso.
Tutte le sere alle otto, per tutte le volte che eravamo aperti e per ogni tipo di tempo ci fosse all’aperto.
Non era un cliente fastidioso. Non si ubriacava. Stava al suo posto e i ragazzi presenti per l’aperitivo avevano imparato a lasciare il suo tavolo sempre libero. Dovevi solo fare attenzione a non inciampargli addosso quando gli passavi vicino con un vassoio in mano, perché aveva dei piedi e delle gambe che sembravano senza fine.
Prima di quell’estate non si era mai visto. Si diceva fosse un uomo molto ricco e a noi stava bene così. Aveva sempre soldi da spendere. A volte offriva da bere ai ragazzi. A volte non voleva neppure il resto della consumazione e non erano molti i clienti che lasciavano mance.
Quando, verso le otto, stava per arrivare scherzavamo sulla sua figura. Scimmiottavamo qualche battuta presa da un film con Clint Eastwood. Facevamo le sparatorie usando le scope come winchester. Ma appena entrava tornavamo seri e silenziosi e ligi al nostro dovere di camerieri.
Lui salutava con un cenno degli occhi e dava inizio al suo rituale. Giorno dopo giorno. Settimana dopo settimana. Ma solo per qualche mese.
Una sera si sentì male.
Sentimmo l’infrangersi del vetro del ballon sul pavimento e, prima di capire cosa stesse succedendo, vedemmo il signore elegante cadere in avanti come un sacco di cemento appoggiato senza cura e in bilico su una balaustra, come se Dio in quel momento avesse agito solo da manovale maldestro.
Accorremmo e capimmo immediatamente che era grave.
Il pavimento era rosso di sangue e di vino e c’erano pezzettini di vetro tutto intorno. Uno di noi avvertì il servizio medico, mentre io, con l’aiuto di alcuni clienti, cercai di mettere in atto quelle poche cose di pronto soccorso che ero in grado di praticare. Lo voltai supino e dissi a un ragazzo di tenergli sollevati i piedi.
Il signore aveva gli occhi spalancati, ma non sapevo sino a che punto fosse cosciente.
Non sapevo neppure se stessi facendo la cosa giusta.
«Stammi davanti» mi disse a un certo punto.
Gli ero davanti.
La sua fronte sanguinava, ma non capivo se fosse frutto della caduta o di un pezzo di vetro del ballon che si era conficcato nella testa.
«Stammi davanti» disse un’altra volta.
«Stia tranquillo» dissi, «l’ambulanza arriverà a minuti.»
Il signore tossì un paio di volte.
Dubito che potesse capirmi. Aveva un respiro affannato e rantolava. Era evidente che il problema non fosse dovuto semplicemente alla caduta.
«Perché non mi stai davanti» disse per la terza volta.
Poi restò con lo sguardo fisso come un bambolotto di plastica. Come se gli si fosse rotto del tutto qualcosa dentro la testa. Sentii che si era defecato e urinato addosso. Provai una sensazione di disgusto e sperai che l'ambulanza arrivasse in fretta.
Fu l'ultima volta che lo vidi.
Due giorni dopo uno dei volontari dell’ambulanza ci disse che il signore era morto per un ictus cerebrale. Era deceduto prima che potessero arrivare in ospedale. Se n'era andato senza parlare e senza soffrire.
«Sembrava Clint Eastwood» disse il volontario.
Annuii e andai dietro il banco a pulire con un panno la rastrelliera con i ballon, i calici, i flute e le bottiglie di vino buono. Guardai verso il tavolo dove era solito sedersi il signore. In tutto quel tempo non avevo mai capito, dall'espressione del suo viso, se ci fosse, nella sua vita, felicità o tristezza.
Vi voglio bene.
Grazie.
C'è una notevole differenza nel leggere un racconto,un libro..... e starsene a vedere un film in prima fila !
RispondiEliminaQuello che a me piace della lettura è il richiamo alla fantasia mentre leggiamo,diverso dalle immagini che scorrono su uno schermo ,dove la fantasia è del solo regista!
Nel leggere diveniamo protagonisti delle nostre emozioni e le liberiamo lentamente ,ipotizzando trama e finale in modo soggettivo..
La capacità dello scrittore è donare al lettore il coinvolgimento verso ciò che si sta leggendo.Non è molto facile perché entrano in gioco anche le passioni verso un certo genere di lettura,e qui possiamo spaziarci a piacimento!
La parte finale di questo racconto respingeva in me lettrice le due facce della medaglia chiamata "VITA"... Ma la vita è nascita e morte...è felicità e tristezza...
Forse inconsciamente siamo davvero propensi alla positività in tutte le sue sfaccettature e viverle a pieno,come in questo racconto ...magari potendo liberare la fantasia e stravolgere il finale con tante pagine ancora ....allungando la felicità e respingendo la tristezza...
Vabbe' poi lei mi ha messo il nome di Clint Eastwood......
Buon fine settimana...
L.
Grazie, è in ottimo incoraggiamento!
EliminaBellissimo, anche se malinconico.
RispondiEliminaChe poi, queste persone chissà cosa nascondo (forse niente)...
Moz-
Grazie Moz-
EliminaBello davvero! Sembra di vederlo quel signore, il blazer il ballon tra le mani, lo sguardo che sembra cercare qualcuno o qualcosa.
RispondiEliminaE alla fine resta il mistero.chi era?
Bravo Ferruccio!
Grazie Patricia
Eliminamolto bello questo racconto, ricco di una energia potenziale che si libera solo parzialmente alla fine, in modo che chi legge rimane a fantasticare. bravissimo!
RispondiEliminagrazie mille Marina
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