martedì 24 maggio 2016

Scrivi come mangi

«Anche oggi, come qualche sabato fa, posto un articolo, frutto di considerazioni del tutto improvvise, suscitato da un episodio che mi è successo stamattina. Dovete sapere che io abito in un paesino di montagna e stamani all’alba mentre mi recavo al lavoro una mancata precedenza ha provocato una bella discussione. Non conoscevo l’interlocutore e mi sono rivolto a lui in lingua italiana per spiegarmi, al che, costui, inviperito, immagino che sapesse chi fossi, mi ha ribattuto in dialetto: “parle come te maiet” (parla come mangi).» 

Nel lontano 2010 pubblicai il post che ho ripreso e messo in parte tra virgolette. Lo considero uno dei primi miei articoli di successo, perché all'epoca coinvolse parecchie persone e sopratutto si presentarono sul mio blog, per la prima volta, molti altri lettori. Mi è servito anche come spunto per redigere il post di oggi Scrivi come mangi

Ora se il post di quel lontano 2010 aveva un'aria ironica, questo di oggi non c'è l'ha per nulla. 

Vi dico subito il perché: non sopporto chi scrive scimmiottando la scrittura di autori americani, siano essi di culto o soltanto alla moda. Mi irrita leggere romanzi, ma anche articoli su siti e blog, dove è evidente la marcata influenza esterofila sullo stile, con l'uso di qualche "intercalare" solitamente assente nel lessico comune nostrano. 

Credo che abbiate capito cosa intendo! Mi sembra di avere a che fare con degli scrittori falsi. 

Già ho una marcata idiosincrasia per chi abusa nella propria narrativa di stereotipi anglosassoni imparati grazie ai film più che alle letture, ma se in aggiunta ci mettiamo anche le parolacce dei personaggi letterari anglosassoni proprio non ci siamo.    

Questo non significa che non dobbiamo ambientare un romanzo a New York o nel Montana, ma se non siamo nati e vissuti a New York o nel montana non comportiamoci da Yankee, cercando di scrivere come loro. Insomma scrivete come mangiate. 

Non imitate i dialoghi di Bukowski o Stephen King. Loro hanno una cultura completamente diversa alle loro spalle. Uno scrittore è fatto anche dai posti dove vive. 

Vi voglio bene. 

Grazie.

15 commenti:

  1. "...se in aggiunta ci mettiamo anche le parolacce dei personaggi letterari anglosassoni proprio non ci siamo".
    Sinceramente non ho capito il riferimento. Hai in mente delle opere di scrittori nostrani che facciano di questi utilizzi?

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    1. Il commento che mi è arrivato dopo mi aiuta nel confermare quello che volevo dire

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  2. Mi colloco un po' nel mezzo; capisco cosa intendi, e trovo parecchio stridenti le forzature di slang, di gestualità etc. Però è anche vero che l'influenza dipende da ciò che si è letto, e che ripulire il testo dalle influenze americane può risolversi in un'ulteriore forzatura.
    Come tutto, direi "caso per caso".

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  3. Non mi pare di averlo fatto nel blog, o almeno, non lo ricordo, però ogni tanto scrivo proprio aprendo un libro e imitando lo stile di quello scrittore. Lo trovo utile, anche perché in certi modi altrimenti non scriverei mai :)

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    1. Il mio è un discorso generale, non riferito a qualcuno in particolare. Mi capita spesso di leggere articoli su blog e molti romanzi del giorno d'oggi che imitano uno stile. L'uso di certe parole che in inglese nel nostro mondo mi pare che ridicolizzano

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  4. Ricordo quando ho tentato di leggere uno dei libri firmati da Faletti; mi pare che fosse "Io sono dio" ma non ne sono sicuro. Premessa: di Faletti sui suoi libri c'era soltanto il suo nome; si serviva di un gòst ràiter, o come si scrive quella roba lì, americano, che poi faceva tradurre alla coso di cane da qualcuno che forse conosceva meglio l'inglese dell'italiano. Ebbene, tra le varie cose tradotte così, ricordo certe stranissime espressioni che da noi non si usano mai:
    "piovono cani e gatti" (piove a catinelle)
    "si scioglieva tra la folla" (si mescolava, si confondeva nella folla)
    "lacrime come diamanti a poco prezzo" (lacrime di coccodrillo)
    Poi c'era una frase riguardante qualcosa tipo "pagare dieci Grandi" che proprio non sono riuscito a collocare, perché non ho nemmeno trovato il corrispettivo in gergo americano di cui poter chiedere la traduzione sensata.
    Porcheria infame, insomma. Un libro così è penoso da leggere, e infatti non sono nemmeno arrivato alla decima pagina prima di restituirlo a chi me l'aveva prestato e dimenticarmi perfino il titolo.

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    1. "Grand" in slang americano significa semplicemente "1000 dollari".

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    2. Questo può essere un esempio. Ma io ogni giorno leggo qualcosa dove il termine è preso da romanzi o da narrativa americana

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    3. @Ivano
      Ecco, questa mi giunge nuova, comunque ti ringrazio.
      Ciò non toglie che leggere un libro del genere sia una sofferenza.

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  5. Penso che rientri nella solita questione dell'essere Scrittore e dell'improvvisare. Però la Leggy ha centrato la questione, dipende anche dal proprio background, la strada verso la propria identità letteraria può passare anche dalla letteratura straniera. Penso che l'autenticità e la non forzatura si notino immediatamente o quasi, comunque.
    Il caso citato in un commento sopra, riferito a Faletti, credo sia interessante per il discorso del "produrre" letteratura vendibile, ammiccante e di facile consumo.

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    1. Be' ecco proprio per il background io odio chi scrive sboccato alla bukowski e bukowski mi piace come mi piace il suo stile, ma non devo imitarlo mi sembra un modo di scrivere gratuito. per fare un esempio

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    2. Sì, diciamo che uno stile "estremo" e connotativo come quello di Bukowski non andrebbe fatto proprio :P Ispirarsi e tendere a una corrente letteraria non dovrebbe passare per l'imitazione, ma per una rielaborazione personalissima, soprattutto in casi di "distanza culturale e geografica".

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    3. La penso come te l'ispirazione è una cosa l'immedesimazione è un'altra

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