giovedì 26 novembre 2015

Saper essere o saper fare?

«Analisi spietata ma realistica la tua. In questo periodo di crisi profonda, dove la società è in bilico e tende verso derive pericolose, dovremmo fare un piccolo passo indietro. Noi adulti dovremmo fare un profondo lavoro di autocritica, e ai nostri figli e ai giovani in generale, dovremmo insegnare il "saper essere" piuttosto che a "saper fare".» 

Non mi stancherò mai di ringraziare chi ha la buona volontà di lasciarmi un contributo tra i miei lettori, visto che la maggior parte delle volte danno del valore aggiunto a ciò che scrivo io e soprattutto mi offrono sempre un assist per redigere nuovi articoli. 

Oggi il ringraziamento e la citazione vanno in special modo a Massimiliano Riccardi del blog Massimiliano Riccardi Infinitesimale (a proposito tra qualche settimana sarà presente con il suo libro novità nella mia vetrina) per il lancio alla Pirlo che mi ha offerto alla fine del commento che potete leggere tra virgolette, apparso nel post Somari si nasce o si diventa

Il suo «"saper essere" piuttosto che "saper fare"» dovrebbe essere scritto su tutte le istituzioni educative. 

Certo, per il semplice motivo che il saper essere ci permette anche di essere umili e un poco alla volta di saper fare. 


E già da queste considerazioni capite subito qual possa essere la mia riposta in merito al sondaggio che ho pensato di realizzare: trovate le due opzioni possibili in alto alla vostra destra.

Un sondaggio che lascerò aperto sino alla mezzanotte di domenica prossima.  Ho la netta sensazione di sapere esattamente come si concluderà, ma voglio avere il sostegno con un semplice click anche solo di chi non è solito commentare.

Vi aspetto.

Grazie.


26 commenti:

  1. Ho votato "essere" ma in realtà è un po' come l'uovo e la gallina. E' davvero possibile essere senza fare?

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  2. Ma noi SIAMO ciò che FACCIAMO; cosa meglio delle nostre azioni esprime la nostra natura?

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    1. Diciamo che io lo vedo in maniera filosofica il saper essere ci permette anche di essere umili e un poco alla volta di saper fare.
      C'è gente che fa ma che non vale nulla.

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  3. Ed è vero, molti si dimenticano di essere.

    Moz-

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  4. Ho votato essere, ma capita anche che facendo si scopra chi si è.

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  5. Saper essere... senza ombra di dubbio.


    Ispy

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  6. Grazie per la citazione Ferruccio. Visti i commenti cerco allora di spiegare meglio cosa intendevo dire, premetto che tu hai colto esattamente il senso filosofico del concetto. Ovvio che essere e fare non sono disgiunti, e va da se che il nostro agire costruisce, o meglio contribuisce a costruire la nostra personalità, bisogna però dire che il tipo di società che ci troviamo di fronte è esattamente l'esasperazione del "fare" senza concettualizzazione, senza analisi. La scuola, la politica, le istituzioni, lo sport, tutto il corollario di informazioni che ci vengono dall'ambiente circostante parla di azione. Si privilegiano addirittura corsi di studi che permettono l'accesso a professioni ultra specialistiche e tecnologiche. Gli indirizzi di studio a carattere umanistico vengono stigmatizzati, nella migliore delle ipotesi come inutili. A parer mio non si costruisce una società senza stimolare i bambini a sviluppare l'analisi, la critica, l'elaborazione. Processi formativi che prescindono da una solida cultura di base che prevedono la conoscenza dell'arte, della letteratura, della storia contribuiscono solo a formare generazioni di "operai" ipertecnologici. A cosa ci servono ingegneri e architetti che non hanno fatto loro il senso del bello, medici che non hanno il senso dell'humanitas e della pietas, magistrati che non hanno radicato il concetto di giustizia? Si deve favorire la conoscenza del sè, il primo passo è la capacità introspettiva mediata dalla cultura. Il resto viene dopo al massimo deve essere concomitante. Esasperare il fare, come accade troppo spesso oggi, rischia di creare una stirpe di "idioti sapienti", persone super specializzate nello specifico che gli appartiene ma senza senso critico, ignari del passato (quindi pronti a commettere gli stessi errori che la storia ci segnala), incapaci di riflessione perché inconsapevoli dell'elaborazione del pensiero che menti sublimi hanno messo su carta e quindi favorenti per meglio analizzare il contingente. Essere consapevoli, essere critici, conoscere il proprio potenziale e i propri limiti, essere autocritici e introspettivi, ci permette di fare, ma di fare meglio. Tutto lì, la mia non è una valutazione che privilegia un concetto piuttosto che un altro, semplicemente attribuisco delle priorità. Credo che il primo scopo sia l'uomo, ciò che attiene alla psiche, alla conoscenza profonda del proprio io. Educare, da educere, tirar fuori. Insegnare a fare tanto per fare, anche se in modo ottimale, è semplice addestramento.

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    1. Sono di poche parole, mi conosci. Hai detto ciò che volevo sentire.

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    2. hahaha è vero Ferruccio "Laconicus" Gianola.

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  7. Se non sei, io credo che non puoi fare.
    Mi spiego. Se non sei cosciente delle tue capacità, dei tuoi limiti, delle tue paure, del tuo coraggio non puoi pensare di lanciarti in una impresa, qualunque sia, anche la più semplice.
    Se non sei "disposto ad imparare, accettare consigli suggerimenti da chi ne sa di più, confrontarti con gli altri, non puoi fare.
    Puoi fare ma il risultato è sterile, disumanizzante.
    Essere implica per forza di cosa il fare e viceversa, Tutto dipende da cosa si pensa di fare e da chi si crede di essere.

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    1. Tutto dipende da cosa si pensa di fare e da chi si crede di essere.
      Molto bella.

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  8. Mi sembra che oggi tutti credano di essere senza saper fare, vado controcorrente. La tecnica e la capacità hanno, anzi dovrebbero avere, un'importanza centrale. Non credo superiore. Se si applica a figure professionali, non vorrei mai avere a che fare con uno che "è" ma che non sa nulla di ciò che "fa".

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    1. Non vai controcorrente. Il post può essere visto da molte ottiche. Io penso che quando sei convinto dell'obiettivo che vuoi ottenere puoi fare qualsiasi cosa. Restando nell'ambiente culturale penso però a quei personaggi che prima vincono a sanremo e poi fanno un film, poi scrivono un libro... fanno, fanno ma mica sono.

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    2. Dal mio punto di vista non fanno proprio: è robaccia, appunto! Non c'è tecnica, non c'è studio, nemmeno serietà professionale. Caso mai tanto apparire e vendersi, pura immagine. Intendevo esattamente in questo senso il "saper fare". Se chi non ha nessuna capacità e magari ha pure talento, ma non sviluppato adeguatamente (ciò che può passare da allenamento e studio personale non necessariamente accademico eh), vince premi e festival, lo dovrà sicuramente ad altro (o ad altri :P). Valuto il "fare" come passivo in questi casi. Probabilmente io ho in mente l'accezione positivo-propositiva.

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    3. Credo che in quel caso si hanno le idee molto chiare sul chi si è (Mi pare comunque anche di rilevare una certa ambiguità sul significato di fare, perché in questo caso la penso come te)

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    4. Ma infatti è così Glò, ma quello che tu dici riguarda una situazione già a buon punto. Il problema è che come al solito si parte dal presupposto che tutto deve essere riportato al mondo degli adulti, già formati e strutturati. Ovvio che nemmeno io vorrei un professionista che non sa fare, io se non so fare ammazzo un cristiano al giorno, te lo garantisco, BISOGNA saper fare, l'ho anche spiegato nel mio commento. In un concetto un po' più ampio, in una visione olistica della vita, il saper essere e il saper fare sono processi e come tali in divenire, un perpetuo divenire. Da qualche parte bisogna incominciare, e per me si parte dall'unica posizione possibile, che è quella della prima infanzia, della fanciullezza e dell'adolescenza. Tu identifichi un momento dove oramai i giochi sono fatti. Io parto dall'inizio del percorso dell'individuo, dove c'è bisogno di aiuto nello scoprire, scoprirsi e nell'essere guidati verso le infinite possibilità. La famosa età della formazione. L'essere che intendo io attiene ai valori, le scelte di fare o non fare riguardano il senso di ciò che va o non va fatto o sul come farlo a prescindere dal saperlo fare o meno (bio ingegneria, energia nucleare ecc.. credo che i come e i perché siano importanti del "sono capace"), attiene ai perché e se è giusto o necessario. Non me la sento di lasciare questa decisione a dei semplici tecnici. Mi rendo conto che il discorso e molto ampio e meriterebbe ore di discussioni e contraddittori, sconfiniamo nel vasto territorio dell'etica. Una cosa non esclude l'altra, come ho già detto, è ovvio. Per quello che mi riguarda, forse perché ho figli e vedo il mondo giovanile dal di fuori ma vivendolo con aspettative e speranza, prima privilegio la formazione umana, lo sviluppo delle conoscenze, la preparazione all'utilizzo della tecnologia, non mi basta che la si sappia semplicemente usare. Parto dall'inizio, perché è da lì che inizia la reazione a catena della crescita, il dopo, il poi, l'età adulta... è già troppo tardi.
      Mou belin non ho nemmeno la possibilità di regalarvi dell'alka seltzer per digerire dopo questa concione fuori luogo.

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  9. In realtà servono entrambe. Diciamo che solo saper fare senza saper essere è limitativo, mentre saper essere senza saper fare ti da quanto meno una tua sicurezza interiore. Però non si prescinde da nessuna delle due, io la penso così.

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  10. Bisogna saper essere e saper fare,bilanciando il tutto,anche se personalmente ritengo sia più importante il saper essere che è ciò che voto nel tuo sondaggio:-D

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  11. Arrivo -ahimè- in ritardo per il sondaggio e resto incuriosito per il risultato finale.

    Negli scorsi giorni sono rimasto in bilico sul dare una risposta, poi ho capito che mi trovavo davanti all'eterno dilemma di origine filosofica: dare ragione a Cartesio (cogito ergo sum) o a S.Agostino (si fallor sum)?

    Dare una risposta univoca non mi è possibile, ma sicuramente concordo sia con chi asserisce che si debba e/o possa fare solo quando si ha cognizione di causa, sia con chi è convinto che l'esperienza porti comunque alla conoscenza.

    Me la son cavata? :P

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