venerdì 9 maggio 2014

Intervista a Monica Triglia e al suo L’altra faccia della Terra

Ho conosciuto Monica Triglia a un corso di blogging tenuto a Milano un paio di mesi fa. Subito mi sono fatto l’opinione di avere a che fare con una persona molto valida e professionale. 

Giornalista e vicedirettore di Donna Moderna, uno dei magazine, se non il magazine femminile più importante d’Italia, Monica è da sempre impegnata in tematiche sociali (povertà, sfruttamento e lavoro minorile, Terzo Mondo, guerre, economia solidale), non a caso il suo libro L’altra faccia delle Terra è un reportage scottante e di forte impatto emotivo. 

Persona molto attiva ha organizzato campagne di sostegno a progetti umanitari promossi dalle Nazioni Unite e da numerose organizzazioni non governative e, come inviato, ha firmato resoconti da molti Paesi del mondo. 

Monica mi ha concesso la possibilità di farle qualche domanda e naturalmente ne sono molto fiero. 


Monica, non ci giro attorno, com’è nata l’idea di scrivere L’altra faccia della Terra

«Ho deciso di partire con Medici senza Frontiere, la grande organizzazione umanitaria che nel 1999 ha ottenuto il premio Nobel per la Pace, innanzitutto per curiosità. Per cercare di capire chi fossero le donne e le ragazze che ci lavorano: psicologhe, medici, infermiere, ingegneri, architetti, addette alla logistica. 

Che cosa le spinge a rinunciare a carriere solide e amicizie, a complicare amori, ad accontentarsi di stipendi essenziali, per aiutare chi è nato nei Paesi più difficili della Terra? Per trovare una risposta, sono andata a cercarle in Pakistan, dove si occupano delle bambine a cui viene impedito di andare a scuola e delle donne costrette a vite difficilissime. E a Haiti, dove si prendono cura di chi ha perso la famiglia nel terremoto e deve guardarsi dal contagio del colera. 

Le ho incontrate a Città del Guatemala, dove tentano di riportare a una vita normale le ragazzine che vengono stuprate per strada, in pieno giorno, senza che nessuno muova un dito per aiutarle. In Malawi, dove si occupano delle mamme e dei neonati colpiti dall’Aids. E a Lampedusa, dove accolgono le migranti che, dopo viaggi infernali, approdano sulle coste italiane senza sapere neppure in che Paese si trovano. In prima battuta pensavo di occuparmi solo di loro, delle ragazze di Msf. Poi mi sono accorta che mai avrei potuto raccontare chi lavora per Msf se non avessi raccontato le persone che aiutano… 
A partire dalle donne, che nelle crisi umanitarie sono le più deboli tra i deboli». 



Un lavoro fatto sul campo: ci sono sicuramente dei momenti che ti hanno dato delle emozioni incancellabili, hai qualche aneddoto? 

«Mi hanno emozionato soprattutto le persone che ho incontrato. La psicologa torinese impegnata tra gli alluvionati del Sindh, la regione nel sud del Pakistan, e la ragazzina di cui si occupava: aveva 10 anni e il padre aveva tentato di venderla come moglie a un vecchio, in cambio dei soldi per comprare le medicine utili a curare il figlio maschio. 

Ma nessuno l’aveva comprata, perché nessuno tra i vecchi alla quale era stata offerta aveva i soldi richiesti dal padre. E il fratello era morto. La psicologa la stava aiutando a riprendere a vivere, se non con la leggerezza dei suoi 10 anni, almeno con la possibilità di guardare avanti. E poi la dottoressa di Bogotà e la donna che stava aiutando a Port-au-prince, Haiti. 

Una povera madre che, un anno e mezzo dopo il terremoto, continuava a cercare il corpo del figlio sotto le macerie di quella che era stata la sua casa. E ancora: la giovane ostetrica tedesca che a Tekerani, sud del Malawi, trovava ogni giorno davanti al suo ambulatorio una fila lunghissima di giovani mamme, con i figli legati sulla schiena, bisognose dei farmaci contro la malaria e contro l’Hiv. Sono tre esempi, ma te ne potrei fare centinaia…». 


Per questo libro hai raccolto testimonianze in Pakistan, a Haiti, in Guatemala, a Lampedusa e in Malawi, hai sicuramente degli aneddoti legati a questo luoghi. Fuori dai denti qual è il luogo che ti ha colpito di più? 

«Se mi chiedi un luogo, ti dico Guatemala city, una tappa davvero angosciosa. Avevo letto degli stupri, un cancro radicato e feroce, che divora da decenni la libertà delle guatemalteche. Sapevo cosa mi attendeva. Ma ho capito che non si è mai abbastanza preparati a sostenere lo sguardo di una ragazza violentata alla fermata dell’autobus, in mezzo a un mercato affollato, senza che nessuno muova un dito per aiutarla. In Guatemala a ferire è soprattutto il silenzio, quello a cui la paura e la vergogna riducono tante povere vittime. 

Msf si batte affinché le donne trovino il coraggio di ribellarsi. E di denunciare. Se invece mi chiedi un’immagine, ti dico la carezza con la quale la dottoressa di Medici senza Frontiere accoglieva le migranti che ho visto sbarcare a Lampedusa. Una carezza può essere niente se si pensa a cosa queste donne hanno subìto prima di salire su carrette sfasciate dirette in Italia, e al futuro difficile che dovranno affrontare. Ma una carezza può essere tutto, se ti trovi in un Paese che neppure sai qual è, lontano per sempre dalla tua casa. Se hai partorito in mare e ora tieni stretto il tuo bambino a cui non sei ancora riuscita a dare un nome. Se hai perso nel naufragio il marito, o un figlio, e sei rimasta sola». 


C’è qualcuno che ti ha aiutato nel realizzare questo lavoro? 

«Senza l’aiuto dei capomissione, dei communication officers e degli staff nazionali e internazionali di Medici senza Frontiere, non ce l’avrei mai fatta». 


C’è una giornalista/scrittrice a cui ti ispiri? 

«Mi ispiro soprattutto ai giornalisti autori di grandi reportage che, purtroppo, sono sempre meno numerosi» 


I tuoi scrittori preferiti? 

«Philip Roth, Jonathan Safran Foer, Jonathan Franzen. Ma anche Alice Munroe e Gabriel Garcia Marquez. E poi gli israeliani come Amos Oz e Abraham Yehoshua. Mi piace tanto leggere». 



Domanda più leggera: a che punto sei con il blog? 

«Io dico ridendo che sto facendo le prove tecniche di trasmissione. Ma con un’amica sto lavorando a un progetto importante. Intanto, se vuoi curiosare, i miei primi post li trovi su www.monicatriglia.it». 


Progetti? 

«Il progetto più immediato è proprio il blog, che presto cambierà veste, diventerà più bello e avrà più contenuti. 
E poi… partire. Perché non c’è come viaggiare per rendermi felice». 


Ti ringrazio Monica per il tempo che mi hai dedicato e ti lascio alle prese con la mia solita domanda telepatica, ormai un must delle mie interviste, vedi tu cosa rispondere. 

«Tu vuoi sapere cosa mi piacerebbe diventasse il mio libro, giusto? 
Io ti dico che vorrei fosse strumento di una testimonianza. L’altra faccia della terra è molto grande ed è soprattutto molto distante da noi. E’ difficile immaginarla se non la si conosce. Ma è proprio in questa altra parte della terra che ho incontrato persone e storie normali e straordinarie allo stesso tempo. 

Se, nella distrazione generale che caratterizza questo nostro mondo, qualche persona - leggendo anche poche pagine - si fermerà un istante a pensare all’importanza e al valore del lavoro di Medici senza Frontiere, e al coraggio e alla forza delle “sue” ragazze, io avrò centrato il mio obiettivo».

9 commenti:

  1. Intanto vorrei rassicurare Monica che ha fatto centro concedendo la sua intervista ad Otium di Ferruccio Gianola. Il suo lavoro è importante, così come lo è la promozione del suo libro "L'altra faccia della Terra". In questo modo potrà aiutare coloro che possono trarre dei benefici dalla divulgazione delle sue testimonianze sull'encomiabile lavoro che svolgono Medici Senza Frontiere. :-)

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    1. Hai ragione, allora diciamo che il lavoro dei Medici Senza Frontiere è solo duro, e basta, altrimenti le troppe lusinghe li farebbero adagiare sugli allori... :-)

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  2. Corso di blogging?? Se le inventano tutte (ah, già, presto anche io dovrei intervenire in una serata a tema :p)

    Storie forti, comunque. Lontane da noi, culturalmente e mentalmente.

    Moz-

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    1. Vedi nel blogging c'è molto di più di quello che si pensa

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  3. Bella intervista. Mi sento sempre percorrere da un brivido quando ascolto o leggo storie del genere e come sempre è importante informare e non far cadere nell'oblio sia le storie delle vittime che il coraggio di chi si impegna a rendere questo mondo un posto migliore...

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  4. Interessante questa intervista. Non conoscevo Monica Triglia ma leggendo il tuo post penso anch'io come te che si tratti di una persona competente e professionale. Leggerò senz'altro il suo libro "L'altra faccia della terra", perchè penso sia molto interessante.

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