giovedì 1 agosto 2013

Mai letto Arturo Perez-Reverte?

Inizio di agosto con una preziosa inchiesta letteraria realizzata da un Guest Blogger d’eccezione come l'amico Massimo Bencivenga, autore del portale Sulla notizia

La sua conoscenza di Arturo Perez-Reverte spiazza, tanto che mi sento quasi inutile ed è meglio che vi lasci alle sue parole: 

Arturo Perez-Reverte arrivò nella mia vita di lettore esattamente 10 anni fa: tre romanzi che allietarono le torride serate dell’epoca. Di lui sapevo che era riuscito nell’impresa di intervistare un cecchino ai tempi in cui era cronista di guerra: si può resistere a uno con un background del genere? 

Già, la guerra ricorre spesso nelle sue storie, ma è difficile classificare un talento eclettico come quello di Perez-Reverte; benché crudi, i suoi libri non sono mai action pura, ma trasudano intelligenza, erudizione vera non quella quanto basta, alla Dan Brown ed emuli. 
Arturo si documenta, è certosino nella cura del dettaglio e nella ricerca della parola più adatta, non a caso è considerato l’Umberto Eco spagnolo (ah, è anche un biblofilo!), al punto da diventare pesante quando si fa prendere la mano. 
Cura molto la psicologia dei suoi personaggi, che non sono mai banali nelle loro debolezze e nelle loro virtù, il più delle volte sono personaggi cinici e disincantati, ma capaci altresì di grandi slanci, persone che, tratto il dado, onorano la scelta compiuta. 
Sino alla fine. 

Ho amato molto il capitano Alatriste, mercenario spagnolo del siglo de oro spagnolo. 

Così come presi in simpatia il raffinato antiquario Cesar di La Tavola Fiamminga; fui folgorato da Lorenzo Quart, il prete tutto d’un pezzo di La pelle del tamburo, che rischiò, in una ammaliante Siviglia, di perdere tutto per colpa della duchessa Macarena, ma che ritrovò invece se stesso ascoltando le parole di un prete di campagna amante delle stelle. 

Con Macarena arriviamo alle donne di Arturo Perez-Reverte: calde, sensuali, molto spagnole, ma altresì molto risolute e forti, come Teresa, la Reina del narcotraffico. 

O come la Lolita di Il Giocatore Occulto, l’ultimo libro che ho letto dello spagnolo, un libro in cui l’uomo di Cartagena dice di aver messo tutto se stesso. 
L’assedio di Cadice nell’anno di grazia 1811 da parte dei francesi è lo scenario scelto per dar vita e far muovere, su diversi piani, i personaggi del romanzo, ognuno alla ricerca di qualcosa. 
Un libro poderoso, a più livelli come detto, dove il thriller si coniuga con l’amore per la Scienza, la Storia sposa l’avventura per mare, l’Amore si miscela alle azioni di un sadico serial killer. 
E dove un poliziotto gioca una solitaria e pericolosa partita a scacchi scandita dai versi dell’Aiace di Sofocle. 

Sullo sfondo il cinismo e il disincanto di una città assediata e non più centrale nelle rotte per le americhe. 


Ecco l’incipit di Il giocatore occulto

Al sedicesimo colpo l'uomo legato sul cavalletto sviene. La pelle è diventata gialla, quasi trasparente, e la testa penzola immobile dal bordo del tavolo. La luce della lampada a olio appesa alla parete fa intravedere un rivolo di lacrime sulle sue guance sporche e un filo di sangue che gli gocciola sul naso. Chi lo picchiava si ferma per un attimo, indeciso, il nerbo in una mano, mentre con l'altra si deterge dagli occhi il sudore che gli intride anche la camicia. Quindi si gira verso una terza persona che sta in piedi alle sue spalle, nell'ombra, appoggiata alla porta. L'uomo con il nerbo ora ha lo sguardo di un cane da presa che torna scornato dal padrone. Un mastino enorme, brutale, impacciato. 


Mi è molto caro anche questo stralcio di La tavola fiamminga:

Avversario, arbitro e spettatori attendevano la mossa successiva con malcelata noia, perché il finale si protraeva troppo. Il ragazzo guardò per l’ultima volta il proprio Re incalzato e, con una sensazione di solitudine condivisa, decise che non gli restava altro che l’atto pietoso di farlo morire con le proprie mani di una morte degna, evitandogli l’umiliazione di essere incalzato come un cane randagio in un angolo della scacchiera. Fu così che allungò le dita verso il pezzo e, con infinita tenerezza, inclinò lentamente il Re battuto e lo adagiò amorevolmente sulla scacchiera ormai svuotata.


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