martedì 9 luglio 2013

Giancarlo Narciso alias Jack Morisco: un mondo giallo e nero

Romanzi - l’ultimo dei quali è Otherside - racconti pubblicati in antologie edite dalle più importanti case editrici italiane, produzioni Rai realizzate con le sue storie, scuole di scrittura, una vita avventurosa che lo segue da sempre visto che ha compiuto più volte il giro del mondo, stabilendosi di volta in volta a Tokyo, Kuwait City, San Francisco, Città del Messico e Singapore, dove ha svolto i lavori più disparati dal traduttore al modello, dal contrabbandiere alla comparsa. 

Insomma scorrendo la biografia di Giancarlo le domande che ti vengono in mente di fare sono tantissime e non solo legate al mondo della scrittura, infatti la prima domanda che gli pongo è legata al mondo dei fumetti… 


Giancarlo, lo pseudonimo Morisco mi ricorda un personaggio presente negli albi di Tex Willer, ha a che fare con te? 

In parte El Morisco c’entra. Vivevo in Messico e stavo con una ragazza bionda, anche lei lettrice di Tex, la quale aveva preso a chiamarmi Moro per via dei miei capelli, all’epoca – fine anni ’70, primi anni ’80 - ancora molto scuri. Da Moro a Morisco il passo è stato breve. 
Quando poi, nel 2002, Sandrone Dazieri ha dato vita al fenomeno della Legione Straniera di Segretissimo, ovvero degli scrittori italiani che scrivevano storie di spionaggio celandosi dietro pseudonimi stranieri, ho deciso di rispolverare il nomignolo creando un autore britannico di origini corse, appunto Jack Morisco, di cui fino a martedì 2 luglio troverete in edicola il recentissimo Banshee – Dossier 636 nella collana Segretissimo Mondadori


So che ogni lavoro è diverso, ma dal tuo punto di vista, tra le tue opere, qual è che ritieni più importante perché legata a qualche momento particolare della tua vita? 

Credo che per ogni autore il suo romanzo d’esordio rappresenti un momento irripetibile nel suo percorso, per cui Le zanzare di Zanzibar, road-story ambientata in Messico e fortemente autobiografica è stato sicuramente importante, mi ha fatto capire che potevo scrivere un romanzo e pubblicarlo. Ma nell’insieme, l’opera ha cui sono più attaccato e in cui penso di aver dato il meglio di me resta ancora oggi Incontro a Daunanda


Come nascono le tue storie? 

E chi lo sa? Un’idea che un giorno prende a frullarti per il capo, che poi ritorna insidiosa a tormentarti, ci ragioni sopra e scopri che ti piacerebbe trasformarla in una storia. Il che non vuol dire che lo diventi veramente, è solo quando cominci ad abbozzare una possibile trama e a scrivere la prima scena che ti rendi conto se l’idea ha un potenziale o meno, ma a quel punto non sai ancora come si svilupperà. 
Diciamo che lo scopri mano a mano che ci lavori e che alla fine ti puoi trovare in mano un romanzo che, con l’idea originale, ha ben poco a che vedere. 


Quanto del tuo tempo è dedicato alla scrittura di narrativa? 

Dipende dai momenti della mia vita, di recente sono stato distratto da una serie di eventi che hanno richiesto tutta la mia concentrazione per sopravvivere. 
Oggi che ho ripreso una vita quasi normale alterno le traduzioni – sempre di narrativa – alla scrittura, in questo momento diciamo che siamo su un rapporto cinquanta cinquanta. Poi, una volta che il romanzo è avviato, so già che mi assorbirà in modo ossessivo, nel senso che ci penso e ci ragiono sopra anche quando non scrivo, che so, mentre guido, sono sul tram, prima di addormentarmi… 


Hai dei riti e dei bisogni particolari quando scrivi? 

È molto importante il posto, per me non tutti i posti sono uguali, tanto che ho un mio rifugio segreto sull’isola di Lombok in Indonesia dove vado a rifugiarmi ogni volta che non riesco a sbloccare una trama. Poi è importante la routine, devo stare sempre nello stesso posto e non avere distrazioni. Essere irreperibile è la cosa migliore, ma non sempre si può fare. 


La soddisfazione più grande che hai avuto in campo letterario? 

La stessa che mi spinge a continuare: ricevere lettere da sconosciuti che mi dicono di avere passato momenti felici a leggere un mio romanzo. 


Il personaggio del mondo letterario che più ti ha colpito o incuriosito? 

Jack London. Era uno scrittore e un uomo, combinazione molto rara. In genere o sei uno o sei l’altro. 


Hai vinto diversi premi: il Premio Tedeschi e il Premio Scerbanenco tra gli altri. Quando valgono queste vittorie in termini di carriera dal tuo punto di vista? 

Credo che solo i premi maggiori, come lo Strega, il Campiello o il Bancarella, spostino ancora qualcosa in termini di numero di copie vendute. Il Tedeschi e, soprattutto lo Scerbanenco, sono sicuramente premi prestigiosi, ma oggi costituiscono più che altro un buon biglietto da visita. 


C’è un giallista italiano che invidi bonariamente? 

Cioè, che ammiro, intendi dire? Diversi, e per motivi diversi. Giancarlo De Cataldo. Alfredo Colitto, che però si sta spostando dal mystery all’avventura. Forse, parlando d’invidia, vorrei avere la professionalità di Stefano Di Marino, che deve avere scritto credo una settantina di romanzi e rispetta sempre le scadenze confezionando ogni volta storie di tutto rispetto. 


Il più grande scrittore di gialli e di noir di sempre? 

Nell’insieme, trama, tecnica, stile, coinvolgimento, ambientazione, leggibilità, senza ombra di dubbio Ed McBain, alias Evan Hunter, oltre a una dozzina di altri nomi fra cui quello che portava alla nascita, Salvatore Lombino. Una citazione speciale per lo stile va invece a Raymond Chandler, è una spanna sopra tutti gli altri. 


Cartaceo o e-book? 

Entrambi, sono due cose diverse. Ma a salvare l’editoria dall’estinzione sarà il digitale. Progetti, Morisco? Sto scrivendo un romanzo d’ambientazione italiana negli anni ‘70, poi sono indeciso fra un romanzo generazionale che abbracci gli ultimi sessant’anni di storia e quello che i lettori continuano a chiedermi, ovvero la quarta puntata della saga di Rodolfo Capitani, dopo Le zanzare di Zanzibar, Singapore Sling e Incontro a Daunanda
Questo per quanto riguarda Giancarlo Narciso. Jack Morisco invece sa già cosa deve fare: riportare a casa Sergio Biancardi lasciato privo di ricordi e quasi moribondo in un villaggio di pescatori su un’isola nell’arcipelago dei Ladroni, di fronte a Macao. 


Ti piace quest’epoca, o avresti preferito vivere in un altro periodo o magari nel futuro? 

Se dovessi scegliere, primi anni ’70, ma chi non vorrebbe tornare a quando aveva vent’anni? Comunque in California, non qui. Chi ha voglia di rivivere l’atmosfera cupa degli anni di piombo? 


Bene, non ti chiedo altro e ti saluto lasciandoti alle prese con la mia solita domanda telepatica, ormai un must delle mie interviste, naturalmente vedi tu cosa vuoi rispondere.


Cioè, cosa mi chiederei io se dovessi intervistarmi? 


D’accordo, ecco la domanda: Cosa avresti voluto fare al posto dello scrittore? 

Il chitarrista – lead guitar, of course – in una rock band. Magari nei Dire Straits, al posto di Mark Knopfler.

14 commenti:

  1. Bella intervista; un altro autore che non conoscevo, grazie.

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  2. Bella questa intervista, non conoscevo questo scrittore.

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  3. Bella intervista, interessante e mai banale. Quasi sorprendente!

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  4. Non c'è dubbio che da questa "chiacchierata" ne esce un personaggio simpatico e affascinante :-)

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  5. Come lo capisco....per scrivere spesso mi rifugio anch'io in un luogo solitario e a contatto della natura :-)

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  6. un pò di amarezza nel leggere che ho uno scrittore crede che il digitale salverà la letteratura, per me niente ti sa dare quanto un libro

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  7. un intervista molto piacevole e interessante complimenti!

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  8. Ancora una volta mi lasci a bocca aperta, un'intervista interessante ed un altro scrittore che conosco grazie a te

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  9. e come mi è già capitato con te mi trovi sempre impreparata.
    Anche questo scrittore non lo conoscevo.Direi che l'italia ha tanto da dare in campo letterario e dovrei soffermarmi anche sui nostri scrittori made in italy!

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